Riccardino di Andrea Camilleri, il commiato

Ero già sposato e da pochi mesi padre del mio bambino (oggi laureato). La mia azienda aveva una direzione regionale a Palermo, presso la quale ci convocava per riunioni, aggiornamenti, ecc. Era il 1996.

Quella volta non avevo gana di guidare, presi l’autobus per Palermo, dove avrei soggiornato al solito Hotel Posta per i due giorni seguenti.
Per non annoiarmi mia moglie mi regalò due romanzi Sellerio di un’autore emergente, anche se era già abbastanza anziano. D’altronde anche Gesualdo Bufalino, la mia infatuazione letteraria adolescenziale, aveva cominciato a pubblicare avanti negli anni (sempre grazie a quella fucina di talenti che era diventata la casa editrice di Elvira Sellerio).

Non sapevo ancora che la saga sarebbe stata lunga una vita intera e che la cronologia delle pubblicazioni avrebbe fatto parte della storia stessa. Seduto nell’ultima fila del pullman, che sceglievo sempre per ricordare i tempi delle gite e dei cazzeggi da ragazzi, sbagliando la cronologia, presi svogliatamente a sfogliare il Cane di Terracotta.

Già dopo pochi minuti il mio torace e le mie spalle oscillavano irrefrenabilmente per risolini sommessi che tentavo di nascondere.
Procedendo nella lettura i risolini divennero risate abbandonate e liberatorie che coinvolsero le file vicine, con i più audaci che mi chiedevano cosa leggessi.
Fini con la lettura ad alta voce di alcuni passi più umoristici, generando il più potente passaparola editoriale nella storia dei trasporti pubblici siciliani.

Prima di arrivare alla stazione di Palermo, anche La Forma dell’acqua lo avevo divorato e nei due giorni a Palermo mi toccò vedere tanta televisione la sera in albergo.

Da quella volta fu una passione insopprimibile e malpadroneggiabile.

La scoperta di Andrea Camilleri ed i suoi romanzi, nelle varie declinazioni, è un’altra delle tante perle che devo a mia moglie.

Giovedì 16 luglio si è consumato il rito del commiato, preparato dallo stesso Camilleri, con un primo intervento nel 2005 e rifinito nel 2016. Come già da anni gli appassionati sapevamo e temevamo, è giunto il momento di leggere Riccardino, la conclusione delle vicende letterarie di Salvo Montalbano.

Topolino è sempre uguale a se stesso, Aristotele della Doody è cristalizzato nella Atene immortale del suo allievo Stefano, Pepe Carvalho ha vissuto in un costante presente, fino alla prematura scomparsa del suo autore. Salvo Montalbano no. Nei suoi oltre venticinque anni di vita letteraria il personaggio ha accumulato su di sé esperienze e pesi di venticinque anni di vita, evolvendo costantemente e cronologicamente (e con lui tutti i personaggi che lo accompagnano in questa rappresentazione). Ciò ha reso di fatto imprenscindibile la lettura ordinata e filologica delle decine di romanzi e racconti che narrano le vicende del Commissariato di Vigata, Questura di Montelusa.

Ad un certo punto di questa storia il commissario con i capelli lunghi, ravviati all’indietro, ed i baffi, alto e senza tartaruga, una stampa ed una figura con Pietro Germi/Commissario Ingravallo, che si trova raffigurato seduto in una panchina nella statua di Porto Empedocle, ha dovuto fronteggiare il suo doppio senza capelli, atletico, ma con le gambe leggermente arcuate, che riempiva gli schermi televisivi di tutto il mondo, nuotando nel mare di Punta Secca, facendoci credere che fosse la spiaggia di Marinella.

“Prima ’sta camurria di sdoppiamento non ti era mai capitata, la facenna è accomenzata quanno le storie che hai contato all’Autore sono state trasmesse in tv.”
Riccardino, Andrea Camilleri, Sellerio 2020

Andrea Camilleri si è tolto lo sfizio di creare un mondo inesistente, dandogli forma e coerenza, dotandolo di un passato storico, di una lingua ufficiale, di una carta costituzionale consuetudinaria, dove la norma cede più all’etica che all’economia. Un mondo dove il suo impegno civile aveva cittadinanza legittima e riconosciuta.

In questi venticinque anni le mie colpevoli lacune su chi fosse Andrea Camilleri si sono ovviamente colmate. Ho scoperto che c’era la sua mano dietro il teatro televisivo di Eduardo, tanto importante per me e per i miei figli. Ho scoperto che c’era la sua mano dietro al Maigret di Gino Cervi (ed ovviamente del prolifico scrittore francese cui spesso è stato accostato Camilleri, George Simenon). Ho scoperto che c’era la sua mano in tante produzioni televisive Rai, e teatrali.

Ho scoperto della discendenza familiare dall’altro nume del teatro europeo del Novecento, Luigi Pirandello, il debito verso il quale traspare in tante sue pagine, marcatamente in questo Riccardino.

“Chiossà di ’na decina d’anni avanti aviva avuto la bella isata d’ingegno di contare a ’n autore locali ’na storia che gli era capitata e quello di subito ci aviva arraccamato supra un romanzo. Siccome che in Italia a leggiri sunno quattro gatti, la cosa non aviva avuto conseguenzia. E accussì gli aviva contato, non sapenno diri di no alla ’nsistenza di quella gran camurria d’omo, ’na secunna, ’na terza e ’na quarta ’ndagini che l’autro aviva scrivuto a modo sò, usanno ’na lingua ’nvintata e travaglianno di fantasia. E ’sti romanzi, va’ a sapiri pirchì, erano addivintati i cchiù vinnuti in Italia ed erano stati tradotti macari all’estiro. A ’sto punto le storie erano arrivate ’n tilevisioni ed avivano ottenuto un successo straordinario. E da quel momento la musica era cangiata. Ora tutti l’arraccanoscivano e sapivano chi era ma sulo in quanto pirsonaggio di tilevisioni. ’No scassamento di cabasisi ’nsupportabili, che pariva nisciuto paro paro da ’na commedia di ’n autro autore locali, un tali Pirandello.”
Riccardino, Andrea Camilleri, Sellerio 2020

Negli studi sulle sue opere che vedranno la luce da qui ai prossimi anni, sono certo che una ricostruzione unitaria e coerente del suo impegno e della sua multiforme attività culturale ci restituirà il peso ed il valore che, forse non è stato fino in fondo ancora adeguatamente sottolineato.

Anche questa storia di Montalbano restituisce a prima ciaurata lo stesso profumo cui ci ha abituato. Andando avanti però la musica cambia. I comprimari si schiacciano sullo sfondo. In primo piano rimane Salvo Montalbano e la sua insofferenza verso il più giovane doppio televisivo, e il suo rancore verso l’Autore che gli ha messo in piazza la vita, la carriera, pensieri, opere ed omissioni.

Un intreccio squisitamente pirandelliano (buon sangue non mente).

“Perché non mi lasci perdere e ti metti a scrivere uno di quei romanzi storico civili di cui ti glorii tanto? Prima dici a porci e a cani che quelle sono le sole tue opere che contano e dopo, com’è come non è, torni di nuovo a calarti le mutande con me? Sostieni che io sono ormai un peso. E allora perché questo peso torni a caricartelo sulle spalle?».”
Riccardino, Andrea Camilleri, Sellerio 2020

Già in un precedente racconto la parete di sfondo del romanzo si era lacerata e Montalbano aveva telefonato a Camilleri per rimproverargli una deriva della storia che non lo convinceva, ripristinando la coerenza etica che il personaggio sentiva intimamente sua.

Stavolta però il personaggio vuole prendere in mano da sé la storia, gioca a rimpiattino con l’Autore, volutamente scantona e sfugge. Non c’è una motivazione etica. Solo il capriccio di un pupo che si è stufato di seguire i fili. L’Autore si trova costretto a richiamarlo all’ordine, alla coerenza, all’ubbidienza.

Le inquietitudini della trinità, Montalbano letterario, Montalbano televisivo ed Autore, sfrangiano la storia, mettono a rischio l’esito delle indagini. L’Autore esercita la sua innegabile supremazia. Tutta questa filosofia democratica dei personaggi che vogliono raccontarsi la loro storia non può reggere. Interviene pesantemente sulla vicenda condizionando gli altri personaggi, che sempre a lui, e a lui soltanto, obbediscono. Montalbano è in trappola. Non ha via d’uscita. Tra l’Autore (Dio) e il personaggio (l’Uomo) non c’è partita possibile. Vince lui, l’Autore (Dio).

A Salvo Montalbano resta solo il gesto estremo, il gesto nobile di chi rifiuta la tirannia ed uccide se stesso, sottraendosi alle imposizioni.

Et quod vides perisse, perditum ducas
Catullo

Come può nobilmente suicidarsi un personaggio letterario?

Cancellandosi

“Forsi è chisto il sapori della sconfitta» pinsò.
A malgrado che era ’na notti fridda, friddo non nni pativa, troppo era càvudo il sangue che gli curriva nelle vini.
A un certo punto accapì che gli era acchianata la fevri, ma non si nni prioccupò. Quell’alterazioni non era dovuta a qualichicosa che arriguardava il corpo, ma nasciva da tutto quello che gli stava passanno per la testa e che lo portava a un’unica conclusioni possibili.
Pinsò a Livia, a Fazio, a Mimì Augello, a Catarella e gli vinni un groppo. Allura si pirmittì il lusso di una lagrima.
L’ultima vota era stata alla notizia di ’na morti. E macari chista, a considerarla bono, era come a ’na morti.
Po’ s’asciucò l’occhi con la mano e con la stissa mano, cataminannola lentissimamenti da manca a dritta, provò a scancilaree il paisaggio come se era davanti a ’na lavagna.
E vitti, strammato, che ci era arrinisciuto: a mano manca ’nfatti il disigno dell’orizzonti si era frastagliato, ora era pizzi pizzi, pariva un foglio malamenti strappato da un quaterno.
Di un piscariggio al largo ora si nni vidiva sulo la mità, la parti di prua non c’era cchiù e via via che il piscariggio, navicanno, oltrepassava l’orlo frastagliato, spiriva, si dissolviva.
Continuò a lento a lento a scancillare.
Quel paisaggio se lo voliva portari appresso, non potiva pirmittiri ad autri di godirisillo.
E accussì, a picca a picca, scomparero la pilaja, il mari, il celo.
Alla fini, davanti a lui, ci fu sulo ’na pagina bianca.
Allura accapì quello che gli ristava da fari.
Questa è la segreteria telefonica dell’Autore. Non sono in casa. Lasciate un messaggio col vostro numero di telefono dopo il segnale acustico. Sarete richiamati.
Montalbano sono. Visto e considerato che la nostra più che decennale collaborazione è andata a farsi fottere, si è deteriorata al punto tale che tu hai condizionato un altro personaggio, il questore, per non farmi risolvere il caso a modo mio, ho preso una decisione. “Se tu ti sostituisci a me nelle indagini, viene a dire che io sto diventando un peso morto.
E allora me ne vado. Di mia spontanea volontà. Non ti darò la soddisfazione di eliminarmi in un modo o nell’altro. Sono io che voglio scomparire. Ho scoperto che è facile. Da questo momento principio a cancellarmi. Basta un attimo. Sto già cominciando a non esserci più, sento che perdo rap… mente pe… so e vo… lume, le… le pa… pa… role mi co… min… ano a m… care.
Non so se po… so
an… cora par… e
ad… io
i o n o n
i o
i”
Riccardino, Andrea Camilleri, Sellerio 2020

Così finisce la vicenda letteraria del Commissario Salvo Montalbano.

Così il genio di Camilleri consegna agli storici ed agli studiosi il fenomeno di un personaggio, nato, vissuto e scomparso, come nessun altro nella storia della letteratura.

In nessun caso precedente uno scrittore ha così consapevolmente elaborato la conclusione della vita del personaggio in uno alla conclusione della propria.

Forse solo uno scrittore siciliano (parente stretto di Pirandello) vive così frequenti e quotidiani commerci con la morte, da tenerla sempre presente con sè e può elaborare la geniale mossa di scacchi che la sconfigge platealmente.

I romanzi di Camilleri hanno sdoganato definitivamente il genere “giallo” o noir, considerato fino ad allora l’ancella della Letteratura. Hanno, inoltre, disegnato una immagine della Sicilia diversa dalla solita. Potremmo dire che hanno rilanciato il brand Sicilia nel mondo.

“Poi, accade qualcosa di inedito. Nel 1994 esplode il fenomeno editoriale di Andrea Camilleri: viene pubblicato La forma dell’acqua, il primo romanzo con il commissario Salvo Montalbano (ma il balzo nelle classifiche avverrà tre anni dopo). Il libro si apre con una lingua che non è italiano, che non è puro dialetto siciliano.”
“Un giallo siciliano. Un giallo mediterraneo. Con un cadavere ritrovato in una macchina, una donna sospettata di essere l’amante assassina – cherchez la femme – una battaglia politica e un doppio, triplo, gioco. La casa editrice Sellerio lo presentava così:
Il primo omicidio letterario in terra di mafia della seconda repubblica – un omicidio eccellente seguito da un altro, secondo il decorso cui hanno abituato le cronache della criminalità organizzata – ha la forma dell’acqua («Che fai?» gli domandai. E lui, a sua volta, mi fece una domanda. «Qual è la forma dell’acqua?». «Ma l’acqua non ha forma!» dissi ridendo: «Piglia la forma che le viene data»). Prende la forma del recipiente che lo contiene. E la morte dell’ingegnere Luparello si spande tra gli alambicchi ritorti e i vasi inopinatamente comunicanti del comitato affaristico politico-mafioso che domina la cittadina di Vigàta, anche dopo il crollo apparente del vecchio ceto dirigente. Questa è la sua forma. Ma la sua sostanza (il colpevole, il movente, le circostanze dell’assassinio) è più antica, più resistente, forse di maggior pessimismo: più appassionante per un perfetto racconto poliziesco. L’autore del quale, Andrea Camilleri, è uno scrittore e uno sceneggiatore che pratica il giallo e l’intreccio con una facilità e una felicità d’inventiva, un’ironia e un’intelligenza di scrittura che – oltre il divertimento severo del genere giallo – appartengono all’arte del raccontare. Cioè all’ingegno paradossale di far vedere all’occhio del lettore ciò che si racconta, e di contemporaneamente stringere con la sua mente la rete delle sottili intese.”
“Quella Sicilia, quella lingua, quei personaggi costituiscono il segreto del successo. Successo di pubblico, certo. Ma quanto alla critica, ai giornali, agli intellettuali, beh, lo presero con molte cautele. E con molte riserve. «Camilleri inventa una Sicilia arcaica, un’insularità quasi biologica, come se la sicilianità fosse una qualità del liquido seminale, un Dna, una separatezza che ovviamente non esiste se non come stereotipo, come pregiudizio che raccoglie, in disordine, malanni personali e banalità di ogni genere, nonne con le mutande a baldacchino e zii preti, la voracità sessuale come espressione del lirismo di un popolo, l’amicizia come retorica, l’omicidio come voce del Diritto amministrativo, la pennichella come ritorno alla natura, le melanzane e la pasta con le sarde come archetipo di una modesta ma sicura felicità. Il tutto descritto con la lascivia sentimentale di certe orrende cose di noi stessi che ci piacciono tanto, quasi fossero anacronistiche virtù, elisir da paradiso perduto». Questo scriveva nel 2000 Francesco Merlo sul «Corriere della Sera». E non era il solo.”
“I romanzi di Camilleri propongono la possibilità di narrare la Sicilia, anche sotto forma di noir o poliziesco, in uno spazio sociale in cui la mafia non è preminente. Delitti di rivalità politica, delitti per passione amorosa, delitti per piccoli interessi di bottega. Ma non di mafia. O non solo di mafia. «In effetti la mafia, intesa come totalizzante impero del male, non emerge nei racconti che vedono protagonista quel commissario Salvo Montalbano, sicilianissimo, ma davvero atipico perché lontano dallo stereotipo di uomo imbelle e rassegnato», ha scritto Francesco La Licata, cronista palermitano esperto di Cosa Nostra”
Non c’è più la Sicilia di una volta, Gaetano Savatteri, Laterza 2017

Tanti giovani e meno giovani scrittori hanno preso il largo favoriti dalla scia del piroscafo Camilleri. La letteratura noir è stata finalmente rivalutata.

In conclusione di queste riflessioni inevitabilmente funebri mi piace dare spazio alla vita, dare spazio ad una scrittrice siciliana, di Noto, Cristina Cassar Scalia, che con La Salita dei Saponari è già arrivata al terzo episodio della sua saga in cui racconta la vicenda umana e professionale di Vanina Guarrasi, vicequestore di Catania.
Non cadrò nella trappola già vista di definire Vanina la nuova Montalbana. Mi sento però abbastanza sicuro di dire che senza Il Montalbano di Camilleri, la Vanina di Cassar Scalia non avrebbe visto la stampa.

Come abbiamo già detto qui

Ognuno di noi aggiunge un colore, un tratto, al quadro della vita, e questo colore, questo tratto, non spariscono quando moriamo, ma rimangono a far parte del quadro. Così la vita e la morte alla fine non esistono. Ogni colore ed ogni tratto si uniscono con gli altri colori e tratti, e si confondono, creando il quadro stesso, con la sua straziante meravigliosa bellezza.

Mentre, allora, celebriamo e ricordiamo il tratto, il punto ed il colore che lascia sul nostro quadro Andrea Camilleri, individuiamo e seguiamo, il tratto, il punto ed il colore che Cristina Cassar Scalia comincia ad incidere sul nostro quadro.

Cos’altro possiamo fare per sconfiggere la morte noi, che non abbiamo la genialità di Andrea Camilleri negli scacchi?

Se vi è piaciuto seguitemi o ditelo ad altri

4 pensieri su “Riccardino di Andrea Camilleri, il commiato

    1. È profezia facile che questa vicenda di un personaggio che vive ed evolve con il suo Autore, fino a “finire” con lui, entrerà nella storia della letteratura

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