Anche i bancari hanno un’anima – Le soste di Blandano di Salvatore Zesaro – Morrone editore

Certamente non avrei mai pensato di fare il bancario.

Le mie ansie letterarie, le mie urgenze filosofiche, ingenue ed adolescenti, mi destinavano ad un futuro più brillante dei tanti travet che riempivano gli sportelli bancari.

In verità nel mio mondo adolescente c’erano anche esempi di bancari sui generis. Erano entrambi genitori di miei amici, erano entrambi appartenenti all’istituzione Banco di Sicilia, che da allora per me divenne la Banca degli artisti.

Si trattava di Pippo Santuccio, poeta prestato alla contabilità, con la cui famiglia condividevo l’estate allegra e scanzonata, e di Salvatore Zesaro, che, complice una minore frequentazione diretta, mi appariva più distante e più ieratico, nella sua produzione di poesie e altre pubblicazioni.

Come ci insegnava dalle tavole del Teatro Vasquez, Gino Bramieri, Pippo e Salvatore erano la prova che anche i bancari possono avere un’anima.

A parziale ricompensa della mia iniziale disillusione nel diventare bancario, comprai una tastiera e mi intestardii che sarei diventato musicista, anch’io bancario artista.

Per fortuna della musica rimasi solo un bancario.

Trascorsi ormai tanti anni, Pippo Santuccio non più tra noi da tempo, ritrovo Salvatore Zesaro alla presentazione del suo primo romanzo.

Le Soste di Blandano per i tipi di Morrone editore.

Blandano/Salvatore è un uomo appagato, felice, non solo perché libero dal giogo del Banco da anni, ma anche perché riappacificato con se stesso e la valanga dei ricordi che lo possiede.

Questo racconto è l’occasione per mettere a posto alcuni importanti e cruciali ricordi.

Di valore anche storico le pagine in cui ritorna ad occuparsi del bombardamento su Palazzolo Acreide. Le vicende dei bombardamenti alleati in Sicilia nel 1943 aspettano ancora chiarezza e definizione. I ricordi personali come quello di Salvatore/Blandano o come quello di mia zia che trascrissi in questo stesso blog in questo post, sono essenziali per la ricostruzione di quelle vicende.

I ricordi di Salvatore Zesaro si incastonano in un racconto che diventa generazionale, che diventa stampa e mappa di un territorio, in un dato momento storico.

Così tra Verga e De Amicis, tra Fellini e Monicelli, il novecento approda nel secondo millennio.

E se la vicenda del romanzo a tratti si perde nell’affluire viscoso dei ricordi, glielo perdoniamo perché l’essenza del racconto rimane intatta.

Forse per diversa generazione, forse per difetto di nostra maturità, non condividiamo fino in fondo la denuncia del primato della politica nel “presunto” degrado morale che attraversa i nostri giorni. Riteniamo che non di degrado morale si tratti, ma di evoluzione, figlia di alcune premesse, condizionata da alcune costanti.

Condividiamo il giudizio sull’esito insoddisfacente, sulla struttura sociale, politica e comunicativa attuale, priva di alcuni fondamentali requisiti.

Ma, appunto, non è figlia di una politica degenere. La classe politica, insieme alle altre forme di cittadinanza, ha subito la stessa evoluzione, senza averne paternità o responsabilità particolari, solo complicità ed assuefazione.

Reindirizzare il corso delle relazioni umane compete a tutti, non solo alla politica. E passa anche attraverso il ricordare, nel senso più letterale di ripassare dal cuore, come Salvatore Zesaro con questo libro fa anche per tutti noi.

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