Preso dagli impegni di questi mesi ho rinviato la lettura del libro di esordio di Bernardo Zannoni, I miei stupidi intenti. Sellerio lo proponeva spesso sulla mia pagina social, altri lettori lo giudicavano positivamente, ed io con qualche senso di colpa pensavo finisco questo e lo leggo, ma il mio intento, di fatto molto stupido, non si realizzava mai.
Poi ha vinto il Premio Campiello e mi sono imposto di assecondare il mio intento.
Per evitare influenze e condizionamenti non leggo recensioni, pareri o altro fino alla mia lettura ed eventuale recensione, quindi anche con questo libro ho cominciato (quasi) al buio.
L’impatto è stato notevole.
Dopo le prime righe sono subito diventato un cucciolo di faina, che sente come una faina, ma pensa come un uomo.
Una forma inedita ed inconsueta di finzione antropomorfa.
Cos’è questo libro? Una favola, un apologo, un racconto fantastico?
No, per niente.
Nessun perbenismo convenzionale disneyano, nessuna finzione fantascientifica, nessun intento pedagogico.
Solo una dura lotta tra istinto e pensiero. Una battaglia con se stessi e con il mondo che ci circonda, finalizzata alla mera sopravvivenza, senza finzioni sovrastrutturali di realizzazione e di finalizzazione.
Essere per essere.
E basta.
Non mi sovvengono altri precedenti letterari con la stessa intensità, oltre il Mc Ewan che nell’Inventore dei sogni, consente ad un ragazzo di indossare la pelle del suo gatto per qualche giorno. Sentendo come un gatto, ma continuando a pensare come un ragazzo. (Conosco una mia amica scrittrice che proverebbe molto volentieri questa dualità di anima, ma forse già lo fa e felicemente).
La ferocia degli animali in questo libro è naturale, è immorale, meglio amorale, cioè priva proprio di morale, non in violazione di essa.
Un mondo dove gli umani non ci sono. Non è con gli umani la battaglia di ogni animale, ma con se stesso. Obiettivo la vita, il sangue e le ossa ed i vari tessuti che condividono la vita.
Archy la faina non è carino, non zampetta, non fa giravolte buffe, non riscuote la simpatia e l’affetto dei lettori, adulti o bambini.
Non ci sono paternità e maternità da fumetto ad addolcire le difficoltà della crescita. Solo spietata lotta per la sopravvivenza. Non ci serve giustificazione ugolinesca, bastano la fame, l’istinto e la necessità di alimentarsi, per l’orrore di cui è capace la natura quando vince l’istinto.
Eppure in tanta ferocia istintiva e naturale si aprono squarci di potenzialità diversa.
Nella loro pretesa di emulazione antropomorfa alcuni animali, intelligenti o furbi (come le faine, appunto) scoprono una facoltà umana, tipicamente umana, indissolubilmente legata all’umanità. La facoltà di leggere, leggere libri, leggere Il Libro. E poi scrivere.
Questo accostarsi alla mela proibita amplia la loro possibilità di sentire e di pensare come un uomo. Significa ampliare la paura, oltre l’istinto ed il pericolo imminente, visto e realizzato, ma anche verso il pericolo immaginato ed atteso. Significa sperimentare la morte come fatto da temere e con il quale rivalutare tutta la vita stessa. Significa sentire l’altro come proiezione di se stessi, con tutte le conseguenze che comporta.
La lettura e la scrittura elevano l’animale, lo portano al livello superiore umano, comincia a credersi uomo. Il conflitto tra pensiero, sentimento ed istinto, diventa insostenibile.
Crescere diventa fonte di sofferenza.
La furbizia non basta più.
Avere paura della morte ora riduce l’intensità della partecipazione alla lotta tutta istinto e niente pensiero.
Ci sono inattesi spazi di potenzialità diversa di socializzazione. Proprio dove non te l’aspetti, tra gli istrici, con i loro aculei pericolosissimi, Archy sperimenta una pausa di serenità e di convivenza pacifica.
Ma dura poco. Altri istinti, altre pulsioni prendono il sopravvento.
Insomma la lettura di questo libro è una esperienza dolorosa, ma necessaria.
L’occasione per rivedere tutta la propria vita, per rileggerla alla luce del conflitto tra istinto e pensiero. Per rendersi conto di quanto abbiamo fatto prevalere la nostra struttura consapevolmente umana, sulla nostra struttura istintiva ed animale, che condividiamo con le altre specie.
Per dare alle due componenti il giusto valore. Per capire che le scelte di pancia o di testa possono avere la stessa base naturale. Per finalmente riuscire a vivere compiutamente questa dualità della nostra specie.
In fondo tutti sentiamo come animali e pensiamo come uomini.
Riusciamo ad integrare queste due anime?
Riusciamo a ricordare che siamo anche faine e non solo uomini?
Riusciamo a sentirci faina, anche solo per qualche giorno?
No?
È un vero peccato. Proprio un peccato, un errore, una violazione delle leggi supreme di Dio e della Natura.
Grazie a Bernardo Zannoni per avercelo ricordato.