Grazie alla collaborazione tra Siracusa Città Educativa e la Società Dante Alighieri, ieri sera alcune decine di spettatori ci siamo riuniti all’Urban Center per assistere alla proiezione di un delicato film francese, I crudeli giardini della vita di Jean Becker.
Maria Teresa Mangano e Rossana Geraci ci hanno promesso un breve ciclo, un cineforum in pillole, iniziato ieri.
Annunciato da una delicatissima accennata presentazione di Francesco Ortisi, il film ci ha catturato per i suoi novanta minuti circa di durata.
Jean Becker, figlio d’arte, mastica cinema da decenni, dai successi del padre, (per tutti l’arcinoto Grisbí, con Jean Gabin) fino alle sue commedie drammatiche. Uno dei suoi principali successi è L’estate assassina, del 1983, con una torbida ed indimenticabile Isabelle Adjani.
In questo film, tratto da un racconto breve, Becker tratteggia una classica commedia cinematografica francese. Tanta provincia francese, tanta pioggia, personaggi che caracollano tra commedia e dramma. Come se un dramma i francesi non riescano mai a prenderlo troppo sul serio.
Complice l’ambientazione di parte della vicenda nell’epoca, a noi nota e condivisa, della Francia nazista, ci è parso di cogliere qualche eco di cinema neorealista italiano.
Nella scena dell’arresto dei due malcapitati la corsa rosselliniana di Louise dietro la camionetta con gli arrestati, senza il tragico epilogo occorso alla Magnani.
Echi di Tognazzi e Gassman trascinati nella follia della guerra abbiamo intravisto nei due personaggi principali.
Palmare l’omaggio al circo nella piena accezione felliniana che ha preso nella storia del cinema.
Questi inevitabili riflessi d’oltralpe, non snaturano la matrice francese del film.
Il triangolo alla Jules e Jim dei protagonisti, che fa molto Truffaut. Così come molte riprese, molte impercettibili accelerazioni, molte inquadrature.
Il film è un apologo che celebra il trionfo dell’umanità sulla follia della guerra. Sorvolando furbescamente sulla irrilevanza della vita e della morte, in tempi di guerra.
Godibile, appassionante, con al centro quella lunghissima sequenza della prigionia che funge da chiave di volta del film.
Una sequenza di pioggia e di vita, di umanità dolente e ilare, di freddo esterno e calore interno.
Infatti dentro l’Urban Center ritrovato, abbiamo sentito davvero tanto freddo, ma ce ne siamo accorti solo alla fine del film. Durante la proiezione il calore dei personaggi e della vicenda ci ha confortato a sufficienza.