Formidabili quegli anni, scrisse Mario Capanna. Mitici, li apostrofava spesso (molto spesso) il mai ricordato abbastanza Gianni Minà.
Resta il fatto che gli anni Sessanta sono stati un periodo magico, intenso, ricco di spunti e sorprese, e di altrettante contraddizioni.
Boom economico, rivoluzione dei costumi e sociale, sperimentazione politica. Arte, cultura, giovani, progresso. Non fu solo una esperienza nazionale nostra italiana. Tutto il mondo fu attraversato da correnti di rivoluzione più o meno accentuata.
Però per noi italiani questi mitici e formidabili Sessanta furono davvero speciali.
Uno dei simboli più demenziali, più sbilenchi, più impropri del boom italiano anche nella musica, fu il capolavoro di intelligenza, la famosa cretineria intelligente, di Enzo Jannacci: Vengo anch’io, no tu no, lanciata nel febbraio del 1967.
Marcetta, con dei fiati sovradimensionati – perché l’importante è esagerare – che allineava quadretti esistenziali, vagamente antitetici con il clima di successo che si delineava nel paese. Una corsa alla realizzazione di attività e traguardi non sempre apprezzabili, da cui veniva sempre escluso, e immotivatamente, il vero protagonista della canzone.
La canzonetta fotografa l’imperfezione del boom, la carenza di fondo sostanziale, la contraddizione che brucia al fondo di quella galoppata nel futuro. Non era per tutti.
Allo zoo, al tuo funerale persino, si potrebbe andare a fare qualcosa di sorprendente, ma c’è sempre qualcuno che non potrà venire, e non serve chiedere il perché.
Chissà quante volte si saranno chiesti perché venivano esclusi da quella sorte magnifica e progressiva, Lucia e Giuseppe, i genitori biologici di Maria Grazia Calandrone, la cui vicenda è raccontata nel libro Dove non mi hai portata, edizioni Einaudi.
Lucia Galante e Giuseppe Di Pietro sono il prototipo perfetto degli esclusi, di coloro per cui l’ora non batte all’orario giusto.
In un mondo di famiglie educate con gli elettrodomestici nuovi fiammanti, che si riunisce al tavolo della cena tra coniugi benedetti dal sacerdote e figli giunti secondo le regole dell’Enciclopedia della Donna, dove la trasgressione più pronunciata era “aspetto un Philco”, il loro amore sbagliato, reo, tardivo, sconsacrato, scandaloso, veniva reietto, respinto, nascosto.
Maria Grazia Calandrone ha compiuto la più meritoria delle operazioni che si chiede alla cultura, alla letteratura, all’arte: restituire verità alla vita dimenticata, trascurata, abbandonata.
Compiutamente coglie il perno su cui centrare l’operazione. La vita abbandonata non è la sua, che pure lo è apparsa, ma quella di Lucia e Giuseppe, che decidono di abbandonare la loro vita come ultimo atto politico di una vita che politica fino a quel momento non era stata.
Ne viene fuori così un romanzo appassionante degli anni Sessanta.
Si non ho sbagliato. Non un romanzo sugli anni Sessanta, proprio un romanzo degli anni Sessanta.
Di quei romanzi ha il respiro, il suono, il profumo. Pratolini, Moravia, con piccolissimi impalpabili accenni di Pasolini.
Un romanzo che appassiona pur senza la suspence della fine, già tristemente nota. A questa fine concorre a dare più significati, a rimetterla in diverse prospettive, offrendo sempre punti di vista diversi e ipotesi sorprendenti.
Un romanzo che riscrive ancora una volta le regole della imperante autofiction.
Se le vite di cui uno scrittore si appropria sono altre dalla propria – anche se alla propria sono intrecciate inestricabilmente – e di queste fa materia di narrazione, trattandole come vite di personaggi, indagandone la coerenza, la conseguenzialità, ricorrendo alla fantasia, alla creazione artistica, per delinearne profilo e racconto, la cosiddetta autofiction guadagna pienamente il titolo di letteratura.
Un libro che ha meritatamente sfidato gli altri quattro candidati allo Strega di quest’anno e che si accinge a ipotecare il Premio Vittorini di settembre prossimo.
D’altronde avrebbe interessato la sensibilità politica, rigorosa e intellettuale, ma anche pratica e umana, di Elio Vittorini la storia di Lucia Galante e Giuseppe Di Pietro, che chiedevano aiuto e vicinanza nel cammino, e che ricevevano soltanto un categorico, insensibile e apodittico: No tu no!