Un’assenza apparecchiata per cena – Il vento ci porterà di Ciro Auriemma – Piemme

Fabrizio De André e la Sardegna sono ormai due concetti strettamente connessi nel nostro immaginario. Un Gingolph sardo non avrebbe difficoltà a catalogare Faber come “oriundo”.

Non sono solo le canzoni che risuonano della musicalità sarda a testimoniarlo, ma tante altre caratteristiche consustanziali alla sua poetica, alla sua visione del mondo.

Nell’ultimo disco pubblicato, Anime Salve, c’è una canzone particolarmente intrisa di atmosfera sarda, profondamente immersa nella cultura sarda: Disamistade. Tranne il titolo non ci sono ammiccamenti al dialetto. Un racconto dettagliato della insuperabile incapacità di convivenza, di solidarietà, di condivisione che gli odi antichi, le faide, la Disamistade appunto, stabiliscono.

Pur avendo avuto l’opportunità di approfondire la conoscenza della cultura di Sardegna, per motivi familiari, colpevolmente e distrattamente non ne ho approfittato.

Con animo libero da convinzioni e pregiudizi, allora, ho iniziato la lettura del romanzo, Il vento ci porterà di Ciro Auriemma, Piemme Edizioni.

Infatti, a dispetto del suo nome che indurrebbe a considerarlo partenopeo, Ciro Auriemma è sardo, intrinsecamente sardo, inesorabilmente sardo. Innamorato della sua Sardegna, la conosce, la racconta, la regala ai suoi interlocutori (a conferma basti ricordare Giallo Sardo, la raccolta).

Per dovere di sincerità e trasparenza verso i tre lettori di questo blog non vincolati da obbligo familiare alla lettura, devo precisare che ho conosciuto prima l’autore che il romanzo.

Grazie a uno di quegli incontri fortunati, quando le affinità si impongono fin dai primi contatti, ho passeggiato con lui per Ortigia, insieme a un altro amico scrittore che ha voluto che ci incontrassimo.

Veniamo al romanzo.

Una storia appassionata e appassionante di passioni varie, ma tutte accese.

Il racconto di una faida insanabile (una disamistade). Il racconto di un amore impossibile. Il racconto di una donna, senza altri aggettivi, qualunque aggettivo ne ridurrebbe la pienezza e la potenza del personaggio. Il racconto di un tempo oscuro, di un tempo bruno, nero, fascista. Il racconto di una storia politica troppo presto dimenticata e non superata. Il racconto di una guerra che ha imposto al mondo tante novità.

Una collana di romanzi, più che un romanzo solo.

Per raccontare tutte queste cose in un solo romanzo Auriemma deve destreggiarsi tra vari registri di scrittura. Cosa che gli riesce in maniera impareggiabile.

Un romanzo dove soffia forte il vento. Dove soffia forte il vento della passione, della Storia, della vita.

Se fosse ancora vivo De André o Andrea Parodi sono certo che ne ricaverebbero lo spunto per una colonna sonora da film Kolossal, un Tema di Nuoro, parafrasando il Tema di Tara di Via col Vento (a cui a tratti fa ripensare questa lettura).

Poi a un tratto, la scrittura vira e ci troviamo in squisito territorio orwelliano, l’Orwell dell’Omaggio alla Catalogna, forse il miglior Orwell.

Come il giornalista anarchico della BBC, Auriemma ci da un’altro spaccato della rivoluzione ideologica, politica, pratica e comunicativa che fu la Guerra di Spagna per tutta l’Europa.

Pagine intere bevute quasi senza respirare che raccontano l’orrore della guerra, della guerra civile, di ogni guerra, con un respiro e un retro gusto alla Malaparte.

“Solo un pensiero si affacciò, fugace, imparato a lezione da Ritanna o passeggiando nei boschi con jaju e disimparato negli anni: che “la guerra è guerra” è una menzogna. C’è la guerra giusta e c’è quella sbagliata. Guerra è Ares, che è maschio e tutto distrugge. Guerra è Atena, che è femmina, ed è giusta.”

Siccome ogni guerra, sia giusta o sbagliata, è sempre una guerra schifosa, tra le pagine di questo romanzo fa capolino anche il Moravia della Ciociara. Incontriamo una Loren con le vocali strette, cui Auriemma/De Sica offre un’opportunità.

La molteplice parabola della protagonista, Anne Marie, sarda e francese, attraversa tutto il romanzo e si insaporisce dei tanti condimenti e delle tante spezie che Auriemma con furbizia e competenza dissemina lungo le pagine.

La famiglia, l’economia, la politica, la storia, la guerra, la morte in più forme e manifestazioni, la vita in ogni sua manifestazione, l’amore sempre e comunque, tutto concorre a riempire il personaggio di Anne Marie, che pagina dopo pagina acquisisce tridimensionalità.

Forse da queste note potrei indurvi nell’errore di considerare questo romanzo, come l’ennesima rielaborazione della vicenda di Romeo e Giulietta. Non è così.

Questa Giulietta e questo Romeo, Elia, subiscono sì il riverbero della disamistade familiare antica, ma non sfuggono a essa nella morte. Sono entrambi protagonisti della loro storia e in ogni cruciale occasione scelgono la vita, con la sua durezza, con le sue asprezze, con la sua inesorabilità.

Piuttosto assistiamo a una lunga estenuante espiazione, alla McEwan. L’espiazione di colpe altrui che si sentono proprie. L’espiazione della colpa di aver scelto di vivere.

Nel nostro immaginario di isolani di Sicilia abbiamo un concetto di faida, una tradizione di odio ultra generazionale. Ma non è la Disamistade di De Andrè e di Ciro Auriemma. C’è un verso in quella canzone in cui sono rimasto impigliato fin dal primo ascolto:

Un’assenza apparecchiata per cena

La straordinaria forza evocativa di questo verso è stata completata dalla lettura di questa storia di odio, di amore, di vento e passione di Ciro Auriemma, che condenserei in queste righe:

“Non importava più nulla, non era tutto dimenticato, tutto era ancora vivido, ma era privo di valore quell’odio che non si era consumato, inutile come una moneta fuori corso.”

Ciro Auriemma prima di essere scrittore, è un editor, un coach letterario, un lettore certamente.

Quando ho deciso di affrontare questo suo romanzo ho ripensato inevitabilmente ancora a De André. Ho ricordato il verso della sua canzone, La Collina:

sembra di sentirlo ancora
dire al mercante di liquore
"Tu che lo vendi cosa ti compri di migliore?"

Ecco.

Ciro Auriemma vende tante marche di liquore, attraverso la scrittura dei libri che cura, e degli scrittori che sostiene, ma con questo romanzo ci fa capire quale liquore riserva al suo bicchiere e alla sua poltrona, di qua da una finestra che si affaccia sull’inverno che imbianca la Sardegna.

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