Mo’ vene Natale – The letterario in Biblioteca – Lentini 20 dicembre 2023

Per l’ultima volta per questo 2023, nella Biblioteca Civica Riccardo da Lentini, il tavolo della sala è stato occupato da torte, ciambelle, caraffe e tazze da the. Ha fatto onore a questa tavola anche un accattivante vassoio di Iris al cioccolato, icona culturale degli Appuntamenti di Lentini.

Le bustine di the di varia composizione immerse nell’acqua bollente dentro le tazze colorate hanno profumato i sorrisi dei tanti partecipanti a questo pomeriggio dall’aroma partenopeo.

Dopo l’introduzione e il saluto della Biblioteca, del Dirigente Cardello e dell’assessore Sanzaro, guidati dalle note di Renato Carosone e Gegè Di Giacomo che annunciavano un Natale senza dinari, con Gingolph abbiamo intrapreso un viaggio della memoria tra compleanno, Natale e tradizioni teatrali televisive. Il racconto di Natale in Casa Cupiello, la commedia più iconica della Cantata dei giorni Pari di Eduardo De Filippo, uno dei drammaturghi europei più importanti del Novecento.

La prima stesura, più corta dell’attuale, risale al 1931. I tre fratelli De Filippo, ancora uniti nel sodalizio artistico, la rappresentarono a Napoli, proprio il 25 dicembre 1931.

La vicenda, nella formulazione più rappresentata, si svolge, infatti, tra il 23 e il 26 dicembre 1931, in una casa di Napoli. La prima stesura era fatta di un atto unico che si svolgeva il 25 dicembre e riguardava il pranzo di Natale della famiglia riunita.

Successivamente fu unito il primo atto che racconta i fatti del 23 dicembre, il pranzo fu spostato alla cena del 24, e fu aggiunto il terzo atto che racconta l’epilogo il 26 dicembre.

Nella sua prima rappresentazione in cui coincideva il tempo dell’azione del palcoscenico e il tempo degli spettatori in platea, si creò uno strano collegamento emotivo tra palcoscenico e platea, poi irripetibile.

Gingolph ci ha guidato nel dettaglio di questa commedia, prendendo in considerazione solo l’ultima stesura in tre atti, quella più rappresentata.

Si racconta il Natale della famiglia di Luca Cupiello, che si arrangia a vivere con il modesto stipendio di custode di una tipografia.

Luca e Cuncetta hanno due figli. Una femmina, Ninuccia, sposata, e un maschio ancora in casa, Tommasino, scugnizzo dedito a maneggi e traffici, con pochissima voglia di lavorare.

In casa con loro vive anche Pasqualino, fratello di Luca, più benestante, impiegato del banco lotto, single irredimibile.

La mattina del 23 dicembre, nell’unica stanza da letto condivisa da Tommasino con i genitori, ci si sveglia in una casa gelata, piena di spifferi e senza alcuna forma di riscaldamento.

Cuncetta armeggia tra camera e cucina, mentre prova a svegliare Lucariello. Luca emerge da tonnellate di coltri, cappotti, sciarpe, guanti con cui è andato coprendosi durante la notte per compensare il gelo.

La sveglia riguarda anche Tommasino, che però recalcitra come tutti i monelli di questo mondo.

Le varie schermaglie farsesche tra i familiari che introducono subito la componente comica della commedia sono entrate nell’immaginario collettivo degli appassionati.

La schermaglia più rappresentativa di tutta la commedia è però quella tra Luca e Tommasino, padre e figlio, circa il presepe, ‘o presebbio.

Per quanto si ingegni di mostrargli la magia del presepe, per quanto arrivi addirittura a corromperlo con la promessa di soldi, Luca non riesce a convincere il figlio Tommasino, che alla domanda “Te piace ‘o presebbio?” Risponde immancabilmente “NO! Nun me piace ‘o presebbio”.

Abbiamo inquadrato idealmente Natale in casa Cupiello, come il primo tassello di una trilogia che affronta le tematiche della famiglia nella concezione di Eduardo, presenti anche in altre commedie.

La trilogia che prosegue nella seconda fase del teatro di Eduardo con Napoli Milionaria e finisce con la più tardiva e meno nota Mia Famiglia, concentra tutte le sue critiche sulla funzione del padre nella famiglia.

L’attenzione alla figura del padre trova fondamento nella situazione familiare personale di Eduardo.

Come ormai noto, Eduardo, Titina e Peppino, i Fratelli De Filippo, che conquistarono un enorme successo nei teatri di tutta Italia fino al 1944, erano figli di Luisa De Filippo, una sarta che viveva da sola con i figli in un quartierino di fronte a quello dove abitava Antonio De Curtis, non ancora scopertosi Principe, Totò.

Pur se non riconosciuti all’anagrafe, il loro padre era noto, era Eduardo Scarpetta, il più grande autore e attore teatrale della Napoli del tempo. Autore di innumerevoli farse di enorme successo, tra cui spicca, ovviamente Miseria e Nobiltà, arcinota a tutti ancora oggi, grazie proprio a un film con Totò.

In vita sua Eduardo non commentò mai questa vicenda, né disse mai qualcosa. Peppino, che aveva trascorso alcuni anni lontano dai fratellini, invece, era più disposto a parlarne.

Si riscontra nelle opere di Eduardo la sofferenza e la difficoltà di crescere in quella situazione, che si ingarbugliò ancora di più nell’adolescenza, quando Scarpetta riunì tutte le famiglie in una promiscuità generalizzata e vivevano tutti nella stessa villa.

Tra Eduardo e il fratellastro Vincenzo Scarpetta, il figlio legittimo, erede della compagnia, furono frequenti i battibecchi e le gelosie professionali, fino a quando Eduardo riuscì a convincere Titina e Peppino della necessità di fondare una propria compagnia di teatro, la Fratelli Di Filippo, appunto, che scalzò definitivamente la compagnia paterna e divenne un caso clamoroso di successo.

Nelle commedie sulla famiglia di Eduardo, il padre o è assente per incapacità, o è assente per menefreghismo, o è assente per cattivi comportamenti contrari all’interesse della famiglia.

Così in Napoli Milionaria, l’assenza del padre prima per ritrazione volontaria e poi per la prigionia, mette in crisi l’equilibrio familiare e i figli corrono il rischio di perdersi. Solo quando il reduce, Gennaro Jovine, recupera la sua funzione, riuscendo a illustrare alla famiglia il delitto orrendo della guerra sulle coscienze, e ottenendo il loro ravvedimento in corsa, la famiglia potrà sedersi intorno allo stesso tavolo e aspettare (addà passà ‘a nuttata).

Se in Napoli Milionaria la ferita era esterna, veniva dalla guerra ma si poteva ancora recuperare la situazione, in Mia Famiglia, il virus è interno.

Dieci anni dopo, con l’arrivo del benessere economico, la famiglia di Alberto Stigliano si decompone.

Le deviazioni dei figli e della madre non nascono da un’assenza forzata del padre, ma dall’individualismo esasperato e dalla mancanza di una guida forte e presente. D’altronde Alberto Stigliano stesso ha un’amante e vive una sua vita fuori dalla famiglia.

Quando si accavallano alcuni disastri, Alberto Stigliano, non sapendo come reagire, diventa muto, non parla, somatizza la sua disabilità paterna.

Solo dopo alcuni anni, Alberto Stigliano, che nel frattempo è andato a vivere con la sua amante, si riavvicina alla famiglia e riappropriandosi in parte della funzione paterna, riesce a raddrizzare alcune questioni.

Ma non c’è alcuna ricostruzione famigliare, non c’è alcuna nottata da trascorrere insieme sperando.

Alla domanda finale della moglie “torniamo insieme?” Alberto si limita a rispondere “mo’ vidimmo”.

Tornando a quel gelido 23 dicembre del 1931, Luca Cupiello è l’antenato di Gennaro Jovine e Alberto Stigliano.

Un uomo con pochissimi strumenti a disposizione, un uomo che non riesce a provvedere adeguatamente a tutti i bisogni della sua famiglia. Un uomo che ha perso il suo ruolo, cedendolo a Cuncetta, che ha dovuto sopperire alla sua assenza, come ha potuto.

Cuncetta e i suoi figli tessono un loro dialogo fitto e sconosciuto a Luca. Con la scusa di non impensierirlo vivono e si sviluppano tutti e tre come se non ci fosse, lo tengono all’oscuro. Non capirebbe, non saprebbe come intervenire, quindi, meglio tenerlo fuori.

Luca, dal canto suo, si accomoda in questa situazione e si rifugia nelle sue piccole manie, piccole passioni, soprattutto il presepe. Lavora, si affanna, costruisce impalcature, ingegnose soluzioni idrostrutturali, acquista nuovi pastori, gareggiando con l’insopportabile Pastorello che nel suo palazzo, avendo più soldi, fa sempre il presepe più bello del suo.

Com’è prevedibile, la sua passione non è condivisa da nessuno. Né dalla moglie, né dal fratello, né dalla figlia, per cui lui darebbe la vita, né dal figlio, che gli contesta la bruttezza e l’inutilità di questo presepe.

Luca, rifugiato nel suo mondo di illusioni, sarà la causa involontaria di alcuni episodi che spingeranno la famiglia verso un disastro irrecuperabile.

La tragica e improvvisa presa di consapevolezza della rottura tra la figlia e il marito, causerà a Luca un malore molto serio, che lo porterà al giorno di Santo Stefano, quando, incassato finalmente da Tommasino il desiderato “Si, mi piace ‘o presebbio”, morirà immaginando l’aldilà come un gigantesco e meraviglioso presepe.

I racconti e le riflessioni di Gingolph sulla commedia di Eduardo sono stati accompagnati da alcuni intervalli.

Una canzone di Eduardo, A vierno ‘o friddo, cantata da Pino Daniele.

Una “gustosa” poesia di Eduardo recitata dallo stesso “ ‘o rraù”.

L’audio della scena più comica del secondo atto: la lettera di mammà.

Una poesia di Eduardo, ‘o mare, recitata da Luca De Filippo, accompagnato da Pino Daniele che suona l’omonima canzone.

Al termine, dopo alcuni commenti e scambi di emozioni e considerazioni del pubblico, c’è stato anche un momento di testimonianza sul tema, sempre troppo presente nella cronaca quotidiana, della violenza di genere, già ricordato dal Posto Occupato, con la presentazione di un opuscolo e la lettura di una poesia dedicata a Giulia Cecchettin da Lucia Emmi.

Questi sono gli auguri di Buon Natale che piacciono a Lentini.

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