I gechi sono delle bestioline molto carine. Nella terrazza della casa al mare la notte ne vedo alcuni seguire un loro percorso ripetitivo, da soli o in gruppo, come famigliole, in cerca di insetti.
In una casa dove abitavo qualche anno fa ce n’era uno che veniva dopo mezzanotte nella parete alle spalle della scrivania. Anche se non l’ho mai visto arrivare o andare via, sembrava uscire dal termosifone. Stava un po’ lì, mi guardava, apriva la bocca, emetteva uno strano suono molto flebile, ma percepibile, pieno di “a”, e poi andava via.
Forse perché hanno un aspetto vagamente rettile, i gechi comunque fanno paura a molti. A questo proposito ricordo una delle esilaranti e immortali gaffes del giornalista Luca Giurato. In una delle sue trasmissioni più seguite, alcuni ospiti manifestarono di aver paura dei gechi anche con toni davvero esagerati. Giurato fraintese e pensò che quelle manifestazioni di paura, o meglio di ribrezzo, fossero destinate ai ciechi, agli ipovedenti. Si precipitò a manifestare il più totale dissenso, dissociandosi da queste forme di razzismo verso una disabilità. Ovviamente si scatenò una incredula ilarità generale tra tutti gli ospiti in studio.
Dopo tanti successi meritati Lucia Corsale, giornalista e scrittrice siracusana, ha dato alle stampe un piccolo romanzo: Il verso dell’amore – Un’indagine dell’ispettore Alfredo Corpaci, per i tipi di Europa Edizioni. Torna quindi protagonista Corpaci, dopo essere apparso in qualche raccontino, torna protagonista Siracusa, la Siracusa dei primi anni sessanta, sfondo dell’attività investigativa dell’ispettore.
Non serve specificare che si tratta di un giallo, parlando di ispettore e di indagini. Un giallo siciliano. Siciliano non solo per l’ambientazione e la provenienza geografica dei protagonisti. Siciliano perché è scritto in lingua siciliana.
Dialoghi (tanti e serrati, funzionali e rappresentativi), narrazione, pensieri riportati sulla pagina, coloriture, ironie (molte disseminate), riflessioni, tutto espresso in lingua siciliana.
Una lingua colloquiale, attenta, curata nella forma, nei modi verbali, nella scelta delle accezioni dei vari termini. Una lingua che arriva a Lucia Corsale dalla sua memoria, dal suo DNA, dall’ambiente in cui è cresciuta e in cui vive.
Se aggiungessi che Corpaci ama la buona cucina e rincorre la sua perpetua Teresa per farsi preparare manicaretti siciliani potreste cadere nell’inganno di pensare di trovarvi di fronte all’ennesimo clone di Camilleri.
La lingua di Lucia Corsale non è la lingua (sostanzialmente) inventata da Camilleri per dare vita al mondo di Vigata. La lingua di Corpaci è la lingua che parlano le pietre e le strade di Siracusa, la lingua che suggeriscono le piante e i fiori, la lingua che tutti ricordiamo di aver ascoltato, amato, la lingua di chi ci ha amato e non c’è più.
La naturalezza e la spigliatezza di questa lingua è l’emblema del modo di indagare di Corpaci. Complice la datazione delle avventure nei primi anni sessanta, Corpaci fa poco ricorso alla tecnica, alle prodezze della tecnologia, non aspetta I RIS di Parma, ma neanche la piccola scienza di Gino Vasquez. Corpaci indaga per incontri, per dialoghi. Indaga attraverso le parole, domande (precise) e risposte più o meno congrue.
Per Corpaci la lingua (logos) che gli fornisce come strumento la sua autrice, alimenta e sviluppa il suo pensiero (logos) le sue osservazioni, le sue intuizioni tratte dalle conversazioni anche più semplici, i tranelli in cui cadono i colpevoli superficialmente distratti dalle sue parole.
La lingua siciliana così ampiamente utilizzata consente a Lucia Corsale di introdurre tra un dialogo e l’altro, tra una considerazione e l’altra, una fitta trama di sottili ironie che arrivano a volte come retrogusto al termine di una frase o di un dialogo. Questa ironia alleggerisce e rende godibile la lettura dell’indagine di Corpaci. Il ritmo serrato e l’ironia disseminata qua e là portano il lettore a seguirne le evoluzioni mirando alla soluzione e alla fine dell’indagine.
Nelle parole si trova la chiave di tutto. Anche la soluzione di questo strano omicidio di uno studente universitario modello si trova nelle parole.
L’amore ha le sue leggi
Ogni amore ha il suo verso
Da queste parole, rinvenute durante l’indagine, origina il titolo di questa avventura di Corpaci: Il verso dell’amore.
Le parole citate e il titolo del romanzo per me però assumono un’altro significato. Risolvono un altro caso, non giudiziario, che mi sono trovato ad affrontare. Parlando dei gechi all’inizio ho raccontato del piccolo geco che veniva a fare compagnia alle mie letture e alle mie scritture notturne, e ho raccontato anche dell’impressione che quello stesso geco producesse uno strano, piccolo, debole suono, prima di andare via.
Lucia Corsale nei panni di Corpaci in questa indagine, rovistando tra le cose e i libri della vittima, trascrive queste parole:
…i gechi non vanno mai uccisi, perché sono le anime dei familiari defunti tornate a rivedere i propri cari.
Diciamo che a me non mancano i Lari e i Penati da cui aspettarsi visita e consiglio. Lucia Corsale e Corpaci non lo sanno, ma con questo passaggio dell’indagine hanno risolto anche quel mio caso, hanno dato risposta alla domanda del titolo di questo piccolo post.
Con loro ho imparato il geco come fa.
Il verso del geco era il verso dell’amore, l’affettuoso saluto dei miei defunti.