Sussurri che urlano più forte delle grida – Sussurri di Ashley Audrain – Rizzoli

Un tempo ero attratto dal cinema introspettivo, psicologico, esistenziale, in particolare dal cinema di Bergman. L’uso delle immagini, i dialoghi, le scelte narrative mi sembravano segreti iniziatici che dovevo possedere. La complessità di quei mezzi espressivi mi sembrava necessaria per rappresentare la verità degli abissi.

Quando ho preso in mano il secondo libro di Ashley Audrain uscito nell’ultimo scorcio del 2023 per Rizzoli, Sussurri, il titolo mi ha risuonato subito come bergmaniano. In un attimo ho rivisto le quattro donne vestite di bianco risaltare sui panneggi rossi, come in Sussurri e grida.

Il primo libro di Audrain, La spinta, era stato una sconcertante sorpresa. Lo avevo amato, consigliato (e sconsigliato in determinati casi).

La femminilità e la maternità ne venivano fuori sotto una luce completamente diversa dalle solite. Dai pensieri della protagonista si intuiva un magma inenarrabile. Eppure l’autrice, forte della sua pluridecennale esperienza di editor e curatore di altri scritti, era riuscita nel miracolo di narrare l’abisso senza cadervi dentro.

La padronanza di questa incandescente materia si rivela anche in questo secondo romanzo.

Completando la suggestione bergmaniana del titolo, Sussurri racconta di quattro donne, di quattro madri (anche se una effettivamente non lo è, ma è come se lo fosse) collegate nell’attesa della conclusione di un evento tragico che riguarda una sola di esse, ma che diventa il punto di caduta, il punto di convergenza di tutti e quattro gli abissi che le protagoniste celano dentro il proprio animo.

La narrazione procede per ellissi concentriche puntate su due fuochi, due eventi cruciali: una festa in giardino di settembre e una notte di nove mesi dopo.

Il quadro completo delle verità celate dentro ognuna delle protagoniste emergerà per pennellate via via più dettagliate e più rivelatrici, guidando il lettore attraverso le vie più periferiche di queste personalità. Le relazioni tra di esse (e gli altri personaggi, mariti, figli, ecc.) muteranno più volte segno e direzione. La natura di thriller psicologico viene esaltata dalla abilità narrativa e dalla apparente semplicità della scrittura.

Rispetto agli spettatori dei film di Bergman, i lettori di questo romanzo non hanno bisogno di alcuno strumento iniziatico. La forza delle parole e la sintassi lineare, ma inesorabile, colpiscono dove fa più male e non ci si può difendere.

Le scene dai matrimoni delle quattro protagoniste non hanno bisogno dell’allegoria di un rubinetto che cola insopportabilmente.

“A un certo punto del percorso, dare la colpa a Aiden per il suo malessere esistenziale è diventato comodo. Lui si è rivelato un affidabile ricettacolo per la sua rabbia. Lei scarica, scarica, scarica, ma lui non trabocca mai.”

“Il matrimonio non è questione d’amore, è questione di scelte. E lei ha scelto questa persona e quest’esistenza. La sua brama per qualcosa che non sa descrivere, che non troverà mai, adesso le sembra solo ingratitudine. Un appetito egoistico. Non può più vivere così.”

La maternità viene ancora una volta smascherata nella sua natura tutt’altro che vocazionale. Una donna non è madre per forza, non è meno donna se non è madre, non smette di essere donna se diventa madre.

“Oggi non riesce più a conciliare l’amore per la figlia con i limiti imposti dal privilegio di essere sua madre. Queste sono le emozioni che prova e non sopporta di provare. Queste sono le cose che non confesserà mai a nessuno.”

Anche se dovesse desiderare con tutte le sue forze la maternità una donna non può rinunciare alla sua natura per esserlo.

“…diventare madre è la cosa più assurda che una donna possa fare. Che un amore come quello non potrà che ferirla molto più di quanto possa immaginare. Pugnalarla, come le madri nelle foto, come Whitney tre piani sopra di lei. O lacerarla mille volte nei lunghi anni della maternità, quell’ottuso crepacuore che la seguirà ovunque.Eppure lo vorrebbe a ogni costo. A un certo punto il desiderio si è fatto così disperato che la spaventa.”

Anche quando la maternità ha seguito un corso del tutto naturale senza forzature, rischi, o ripensamenti, in fondo al percorso si può trovare un esito del tutto imprevedibile.

“Ma c’era anche un’altra verità, che le era bruciata dentro per tutti quegli anni, ed era la verità che non confessava a nessuno. Che era arrabbiata. E piena di rancore. Per via di quel figlio che aveva bisogno di lei fino a quel punto. Perché lui aveva bisogno di un certo tipo di madre. A pensarci adesso le viene da piangere. La stanchezza di dover portare quel peso ogni giorno, a smangiare la resilienza su cui lei faceva affidamento per sopravvivere, mentre dava e amava e tendeva disperatamente l’orecchio alla sua voce come al vento che sibila tra gli alberi.”

E se parliamo di dolore, alla maternità è legata in maniera imponderabile, ma imprescindibile l’eventualità del dolore massimo, del dolore incomparabile, del dolore irredimibile.

“Niente a che vedere con il giorno in cui perse suo figlio.”

Ashley Audrain nella ricostruzione delle vicende umane delle quattro donne di questo romanzo è davvero molto abile nel tratteggiare i momenti salienti, evidenziando le occasioni colte o perdute, i momenti in cui si può, si poteva, ancora fare qualcosa. Sono quei momenti che definisce sussurri, da cui deriva il titolo, suggerimenti che le donne, divise tra risentimento e amore, disperazione e conforto, non si fermano ad ascoltare.

“Una volta li aveva sentiti definire i sussurri: quei momenti che provano a dirti qui c’è qualcosa che non va. Il dramma è che alcune donne non ascoltano ciò che la vita tenta di dire loro. Non sentono i sussurri finché non si voltano indietro con il senno di poi. Colte alla sprovvista. Con il bisogno disperato di vedere la verità per quello che è”

Il romanzo di Ashley Audrain è un romanzo di vita vera, vita vissuta, narrato con una semplicità pericolosa. Non richiede particolari decodifiche come potrebbe richiedere un film di Bergman. Ma proprio per questo arriva e colpisce senza filtri. Conduce il lettore dentro la coscienza labirintica delle donne, dove si trova quello che non dicono, dove si trova quello che non si può dire. Svela ciò che non potrà più tornare nascosto.

Come nella prima esperienza narrativa di questa autrice noi lettori italiani possiamo contare su un vantaggio importante: la forma italiana di questa caccia, di questo viaggio nell’abisso, si deve a Isabella Zani.

Ancora un motivo per leggere questo romanzo da cui donne e uomini ritornano diversi alle proprie vite, con una accresciuta e ritrovata attenzione all’ascolto dei sussurri che facciamo finta di non sentire anche se spesso urlano più forte delle grida.

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