Il coltellino di mio nonno – La Lupa con Donatella Finocchiaro – Teatro Massimo Città di Siracusa 2-3 marzo 2024

Mio nonno aveva un coltellino che portava con sé. La funzione non era per nulla di minaccia o difesa, era un piccolo coltellino estraibile che non avrebbe fatto male a nessuno. Era la sua arma segreta per “munnarisi un pattuallu” appena colto quando passeggiava nel suo agrumeto.

In qualche modo il coltellino arrivò a me.

Dopo qualche tempo il manico di legno si ruppe cadendo dalla tasca. Per non perdere il valore affettivo del ricordo lo feci sostituire con un manico di legno nuovo, simile ma non uguale.

Ancora qualche tempo dopo, la lama si spezzò mentre cercavo di usarlo come cacciavite di fortuna. Per non perdere il valore affettivo del ricordo feci sostituire la lama con una nuova più affilata.

Sabato sera, 2 marzo, il Teatro Massimo Città di Siracusa ha accolto i suoi spettatori, abbonati e no, per un’altra serata di spettacolo e di teatro.

È andata in scena La Lupa. Una nuova riduzione teatrale della novella di Verga, già interpretata in teatro e al cinema da tantissime attrici. Un banco di prova collaudato per la passionalità di tante tigri del palcoscenico.

L’edizione di sabato vede alla regia la stessa interprete della gnà Pina, Donatella Finocchiaro, e la drammaturgia di Luana Rondinelli. Non a caso una squadra tutta al femminile.

Nel nostro piccolo abbiamo provato a spolverare le foto di Verga, ieratico, severo e minaccioso, che ci rimbalzano dai libri di scuola, e dai ricordi delle lezioni, vagamente retoriche che mischiano verismo e ciclo dei vinti per dare un tono ai loro discorsi.

Un ciclo di sei serate in Biblioteca a Lentini, con sei film e sei dibattiti ci hanno consentito di ricostruire un Verga meno sapiente e meno saggio, più inquieto, più incerto, più schiavo egli stesso delle sue passioni. Moderno, anzi modernissimo, nella sua concezione della donna, come proprio la serata dedicata alla Lupa di Monica Guerritore fece emergere.

Un Verga che dopo avere scoperto la sua “segreta mania” del fotografare, ha cercato, senza riuscirci, di spostare la sua poetica verso il nuovo linguaggio del cinema. Trasformò invano anche La Lupa in soggetto cinematografico. Non gli bastò il tempo. Morì nel 1922, proprio quando nasceva Pasolini che, invece, trovò nel linguaggio del cinema lo spazio adatto alla sua poetica.

Sabato sera abbiamo assistito a uno spettacolo teatrale superbo, affascinante, sensuale. Donatella Finocchiaro ha dominato la scena con una carnalità, una passione e una libertà senza eguali.

Tutti i personaggi in scena hanno giocato la loro parte con minuziosa preparazione e attenzione. Anche se le sottolineature musicali sono state sostanzialmente due, e molto caratterizzanti, i movimenti sulla scena (curati da Sabino Civilleri), gli interventi, le cantilene, i motti, hanno dato un carattere surrealista, remotamente pirandelliano, a tutta la rappresentazione, come fosse un musical.

La carnalità di alcune scene ha dato plastica dimensione alla concezione verghiana più essenziale della sua poetica dei vinti. Nella nostra modesta accezione i cosiddetti vinti, non sono il frutto di un pessimismo conservatore, per cui chi nasce in una condizione sociale non potrà mai emergere e migliorare la propria condizione (come ci insegnavano a scuola). I vinti di Verga, tutti quanti i vinti dei suoi scritti – compreso Il marito di Elena – se li riguardiamo con maggiore attenzione, sono vinti tutte le volte che cedono alla loro passione, tutte le volte che non sanno governare la loro passione. Anche le donne di Verga, queste donne moderne, che travolgendo la propria natura, la propria dimensione familiare e sociale, inseguendo la loro passione “malpadroneggiabile”, innescano gli eventi e li spingono verso l’esito tragico e fatale. Santuzza che incapace di tenere a bada la “vana sua gelosia” arma la mano di Compar Alfio. Gnà Pina che è tanto schiava della sua passione da passare anche sopra al suo istinto materno pur di soddisfarne le pulsioni carnali, e che preferisce la morte:

- Ammazzami, - rispose la Lupa, - ché non me ne importa; ma senza di te non voglio starci -.

L’inedito confronto alla pari tra donne, tra Maricchia e La Lupa, impensabile anche nel modernissimo Verga, è stato di una forza teatrale dirompente, ha introdotto moltissimi elementi di modernità nella rappresentazione.

Il fantasma del femminicidio ha avvolto l’opera tutta. La trasformazione in Santa della chiacchieratissima Lupa con il mobile tableau vivant che la contornava ha dato una straordinaria chiave di lettura decisamente più in linea con i tempi.

Verga è un autore che merita assolutamente una riscoperta, una analisi più approfondita che riporti in superficie elementi che sono rimasti nascosti dagli altri più appariscenti.

Per sua natura inquieto come un adolescente fino ai suoi ultimi giorni, sia dal punto di vista della creatività artistica che della vita personale.

E va fatto con cura e con rispetto.

Lo splendido spettacolo teatrale che abbiamo visto sabato sera rientra in questi tentativi, tutti meritori.

Anche se alla fine la sensazione che rimane è la stessa che provo quando prendo in mano il coltellino di mio nonno. Infatti, di quel coltellino oggi non rimane più né la lama, né il manico, ma solo un vago ricordo.

A ben vedere quel coltellino che ho in mano non è più il coltellino di mio nonno, così come aggiungendo qui e sostituendo là, il Verga di questa Lupa, non è più Giovanni Verga da Vizzini, padre del Verismo.

Foto di Stefano Buda

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2 pensieri su “Il coltellino di mio nonno – La Lupa con Donatella Finocchiaro – Teatro Massimo Città di Siracusa 2-3 marzo 2024

  1. Hai riportato temi e aspetti attuali presenti nella commedia della Finocchiaro, anche se di Lupa verghiana aveva ben poco, come tu stesso in epilogo, con la tua solita squisita eleganza, fai notare

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