Oggi nella vita, come nella poesia, nei libri e nelle canzoni i naufraghi sono dei disperati che hanno giocato la loro vita All in in un unico tentativo di attraversare il mondo.
Ci fu, però, un tempo in cui nella letteratura il naufrago era un personaggio che coglieva l’occasione del naufragio per iniziare una nuova vita. Il caso più eclatante fu Tarzan delle scimmie che diventò il re della foresta dov’era precipitato. Oppure Mowgli, cresciuto con lo stretto indispensabile. O ancora il britannico Robinson Crusoe, con il fido Venerdì.
Roberto Mandracchia, torna in libreria con un nuovo romanzo, con un nuovo personaggio curioso, con un nuovo genere di naufrago.
L’implosivo, Minimum fax.
Il protagonista di questa storia è un boss della mafia. Carmine Stanga, detto liccasapuni. Già basterebbe questa ingiuria per riaprire tantissimi cassetti della nostra memoria, partendo dal teatro di Martoglio, passando per alcune riduzioni cinematografiche da Sciascia e approdando all’universo Camilleri.
Mandracchia però rivolge il suo sguardo altrove. Carmine Stanga è un vecchio malato, che ha bisogno di sostegno e assistenza prima ancora che copertura. La memoria va a Binnu Provenzano, alla sua vita da sorcio nella lattera, che gestisce una pace forzata – forzata da lui stesso, dopo la sbornia stragista di Riina – per lasciare crescere gli affari di tutti.
Quando all’improvviso si interrompono i furtivi contatti con il mondo, Carmine Stanga si scopre abbandonato, naufrago, su un’isola, ancora per lui sconosciuta, fatta di aia, stalla, sentieri, animali, e sorgenti d’acqua necessarie.
Roberto Mandracchia sfrutta questa situazione con abilità e subdola sagacia. Progressivamente e inesorabilmente ci conduce a identificarci con questa nuova specie di naufrago. Ne seguiamo i pensieri, i gesti, i comportamenti. Ne assimiliamo i dubbi e le paure. Le sue scoperte, i suoi sforzi di adattamento, i tentativi di dominare il nuovo ambiente in cui è confinato ci mostrano un lato della personalità di un boss inatteso e sorprendente.
La forza e la ferocia dimostrate nella carriera di un boss nell’isola deserta non servono più. Nella nuova situazione di naufrago occorrono altre armi, occorre intelligenza dei luoghi, intelligenza delle cose. Qualità comunque parte del corredo di un boss mafioso, che qui si esaltano. La gestione delle risorse residue, la ricerca di risorse alternative, diventano l’occupazione principale. Obiettivo principale la sopravvivenza.
Durante la lettura più volte ho avuto un riflesso, ricordando le sensazioni provate durante la visione di un film con protagonista un altro naufrago, All is Lost, con uno straordinario Robert Redford anziano, alle prese con le alterne fortune della sua imbarcazione. Un film di fatto senza dialoghi visto che non c’è nessun altro con lui sulla barca in mezzo al mare.
Anche in questo romanzo i dialoghi sono più inventati e, sostanzialmente introspettivi, visto che per larga parte delle pagine nessuno viene a trovarlo o parla con lui.
Mi sono immaginato più volte le mani rugose e macchiate di Redford che armeggiano con gli attrezzi di sopravvivenza inventati, sovrapposte alle mani di liccasapuni.
Come ogni naufrago, anche il boss, capo dell’Associazione, mentre scopre e impara cose dal nuovo mondo dove è approdato, si sforza di capire cosa lo ha portato al naufragio. Dove si trovava il bivio, la sliding door, che ha cambiato il corso del destino. Dove si è distratto, cosa ha trascurato.
Oltre alla sua personale memoria, un boss di quel calibro ha l’imponente pluriennale archivio di pizzini, con cui ha dominato, fatto e disfatto ogni cosa del mondo.
Questo è il riuscito stratagemma di Mandracchia per costringere il lettore a ripercorrerla quella carriera maligna, per toccare con mano titubante e incerta quel grumo di ferocia e violenza che è la mafia, quella che uccide, scioglie nell’acido, che sequestra, che priva di dignità, diritti, libertà e vita chi ostacola l’avanzata del suo potere. Quella mafia che non distingue, come non ha mai distinto, nonostante le romanticherie di alcuni illusi o collusi, tra uomini, donne, vecchi o bambini.
Lo abbiamo già notato in altra occasione, Mandracchia vive e scrive sotto il cielo del Kaos, che osservò le fatiche letterarie di Pirandello, di Sciascia e di Camilleri. Non poteva la sua scrittura farci immedesimare totalmente nel boss, fino a farci perdere di vista l’onestà, l’impegno civile, il rifiuto del puzzo mortale del compromesso morale.
Non dimentichiamo mai che la mafia è una montagna di merda e che Stanga è un essere abietto che si è macchiato di crimini orrendi.
Ovviamente sto tralasciando lo svolgersi dei fatti, per non guastare il piacere della lettura ai tanti amici che vorranno avvicinarsi a questo romanzo. Nè accenno alle rocambolesche svolte finali che terranno attaccato il lettore alla pagina.
Voglio però fare un ultimo accenno a un’altra trovata narrativa di Roberto Mandracchia.
Anche Carmine Stanga, scoprirà di non essere solo sulla sua “isola”. Anche liccasapuni troverà il suo Venerdì.
Una felice creazione di Mandracchia: Cagnolazzo, il selvaggio che farà da specchio e supporto al Robinson di Cosa Nostra.
Un personaggio che amerete subito, che riporterà alla vostra memoria tutti gli angeli vagabondi che hanno animato la letteratura per ragazzi della nostra gioventù.
Anche voi leggendo questo romanzo trabocchetto di Roberto Mandracchia direte più volte “Grazie a Dio c’è Venerdì”.