“Servono altre sedie”.
E’ stata la frase che ieri risuonava di più nei minuti che precedevano l’inizio dell’evento e anche dopo che l’evento era già iniziato.
Circa un centinaio di coraggiosi e temerari appassionati di libri e di cultura hanno sfidato la coda di una giornata calda, molto calda, come ormai stanno diventando tutte le giornate di questa estate, che dicono sia la più fresca dei prossimi cinquant’anni.
L’occasione è stata il secondo appuntamento con la piccola stagione di eventi letterari che si sta tenendo nel Cortile del Palazzo del Governo di Siracusa, appunto, Un Curtigghiu di Libri.
Ieri sera è stata la volta della conversazione con Simona Lo Iacono intorno al suo ultimo romanzo, Virdimura. La vicenda umana e professionale della prima donna a ottenere la licenza curandi, la prima donna che nel 1376 potè legittimamente chiamarsi dutturissa.
Occasione anche per cogliere la suggestione di festeggiare la selezione di questo libro quale finalista al Premio Vittorini 2024, proprio nel cortile antistante la Biblioteca Museo intitolata allo scrittore siracusano e ospiti della Biblioteca stessa.
In rappresentanza degli enti coinvolti: il Comune di Siracusa, l’Assessorato alla Cultura, e la Biblioteca Santa Lucia di Siracusa, da un lato e il Libero Consorzio Comunale di Siracusa e la Biblioteca Museo Vittorini dall’altro, Luciana Pannuzzo e Claudia Calore hanno dato il benvenuto ai tanti intervenuti e hanno introdotto l’evento.
L’incontro vero e proprio si è aperto con il primo intervento musicale del duo musicale Curamunì. I Curamunì sono una delle perle di questa provincia e compiono un importantissimo lavoro di ricerca e di recupero dei canti tradizionali sottraendoli all’oblio. Operano una attenta e affettuosa attività di scomposizione e ricomposizione di questi canti restituendo a essi nuova vitalità e originalità. Per contribuire all’atmosfera giusta e necessaria per affrontare i temi intensi e importanti trattati dal romanzo di Simona Lo Iacono hanno scelto un canto di mavarie e di medicina stregonesca, Pircantu, e come in un incantesimo di spirito majaru, appunto, hanno affatato sin da subito tutti gli intervenuti.
Affascinati dal Pircantu, siamo rimasti ancora più affascinati dall’affettuosa e partecipata cura con cui Simona Lo Iacono ci ha raccontato di Mastro Urìa e di sua figlia Virdimura Judea. Di come nella Civita di Catania nel XIV secolo quest’uomo e la sua unica figlia, la cui nascita ha reso vedovo, esercitavano una forma di cura libera, gratuita, inclusiva, basata sull’ascolto, sulla dimensione olistica della diagnosi e della terapia, sulla indiscriminata accoglienza indipendentemente da status, censo, e tipo di malattia.
Simona Lo Iacono ci ha raccontato quanto tutto questo fosse rivoluzionario, contra legem, ostacolato e perseguito dalla legge degli augusti doctori.
La lettura di qualche passo dal libro ha permesso ai presenti di coglierne la modalità espressiva, la musicalità, la tenerezza con cui Lo Iacono ha trasferito su carta tutta la vicenda.
Quando si è trattato di raccontare dell’amicizia, dell’amore, del matrimonio di Virdimura con Pasquale De Medico, il figlio di Josef De Medico, l’unico vero amico di Urìa, ci siamo ancora una volta fatti aiutare dalle armonie dei Curamunì, che con Li guai di lu linu, ci hanno cantato della fatica di amare che si sovrappone a volte alla fatica del lavoro. Un canto molto antico basato su di un accordo solo, che rievoca il suono del telaio e che racconta le traversie delle fibre del lino per trasformarsi in tessuto, in fazzoletto e raggiungere in qualche modo la riottosa amata.
Dopo aver raccontato delle erbe, dei decotti, degli infusi, dei cibi che più o meno elaborati prevengono e curano secondo gli insegnamenti di Mastro Urìa alla piccola Virdimura è venuto naturale cedere il microfono a Giovanni Fichera, chef, insegnante, scrittore, in una parola, intellettuale che fa della memoria, della storia del cibo, della tradizione alimentare, un racconto sempre gustoso e piacevole da ascoltare.
Fichera ha innanzitutto dato voce a un pensiero che circolava in testa a quasi tutti gli intervenuti, almeno a giudicare dallo spontaneo applauso che ha accolto le sue parole. Riflettendo sulla pratica medica di Urìa e Virdimura, sulla loro straordinaria capacità di ascolto, di attenzione a ogni minimo segnale del corpo, dell’espressione, del sentimento, dell’anima del malato, sulla loro rivoluzionaria intuizione di curare la persona e non la malattia, sulle sorprendenti terapie fatte di sorrisi, di comprensione, di musica e di amore, Giovanni Fichera ha ricordato a tutti noi che un medico così lo abbiamo conosciuto, che un medico così lo abbiamo amato, ci ha curato, spontaneamente, gratuitamente, riempiendoci di amore, il dott. Piccione.
Giovanni ha commosso e divertito tutti con i suoi ricordi di febbri che non passavano nemmeno con tutte le preghiere e i riti mammalucchini della mamma e della zia e, allora, arrivava in casa loro il dott. Piccione, il medico che faceva parte della famiglia, che non richiedeva particolari forme di pudore, che intuendo subito che sotterrare il bambino febbricitante di coperte, coltri e scudo umano, non avrebbe guarito nulla, e allora suggeriva di somministrare al bambino Giovanni un rinfrescante latte di mandorla, generando in lui un preciso ricordo di attenzione e cura, facendolo ancora sentire figlio. Giovanni Fichera ci ha raccontato del processo di “allattamento”, della colatura delle mandorle schiacciate attraverso un tessuto che trasformava l’acqua in latte di mandorla dalle proprietà terapeutiche insuperabili.
Altri aneddoti e altre storie di cibo e di cucina povera, poverissima, ci ha raccontato, dell’abuso di aromi speziatissimi come l’aceto per coprire l’incipiente degenerazione del cibo, che non poteva comunque essere sprecato. Ci ha raccontato della cucina ai tempi di Federico II, dell’influenza dello Stupor Mundi anche nelle abitudini alimentari, come il riso con lo zafferano, oggi ritenuto patrimonio meneghino.
Con felice intuizione Giovanni Fichera ha paragonato Urìa e Virdimura e la loro attività medica alla caponata. Pietanza emblematica di due elementi che nel romanzo di Simona Lo Iacono rimbalzano da una pagina all’altra: l’inclusività, tanti ingredienti, disparatissimi, che trovano insieme un’armonia e un senso, e ogni famiglia ha la sua speciale composizione di caponata; l’attenzione e la cura con cui la madre sin dal mattino , a capu di jurnata, si dedicava alla preparazione di questa pietanza che avrebbe reso felice il pranzo della famiglia.
Altre pagine tratte dal libro hanno dato lo spunto a Simona lo Iacono di raccontarci della particolare sensibilità di Virdimura nel cogliere i segni della morte nella vita e nella intuizione che gli inizi e la fine meritano la stessa dimestichezza e dedizione.
Abbiamo potuto ringraziare Simona Lo Iacono per l’attenzione e la cura delle pagine che raccontano la morte, un vero balsamo per chiunque abbia vissuto il commiato, un vero dono per tutti i lettori.
Abbiamo ascoltato il racconto della esperienza di un primordiale Ospedale che Virdimura sperimenta ancor prima che le venga riconosciuta la licenza di curare. Un ospedale dove venivano accolte senza filtri tutte le donne offese nel corpo o nell’anima, malate, che guariscono imparando a guarire, in un flusso senza soluzione di continuità tra pazienti e dutturisse.
La scandalosa accoglienza e inclusività di questo ospedale sono state ancora una volta sottolineate da un intervento musicale di Roberta e Maurizio, i Curamunì, con un canto anch’esso scandaloso, il Cantu della brigantissa, prototipo di donna contro che sarebbe stata senz’altro accolta nell’ospedale di Virdimura.
Il definitivo tramonto del sole e l’accensione delle luci artificiali hanno dato il segnale per avviarci alla conclusione di questa serata incantevole.
Diceva Virdimura che in medicina non serve bravura, ma serve coraggio. Abbiamo chiesto a Simona Lo Iacono se serve coraggio anche per la scrittura, per la sua scrittura così attenta e curata, così affettuosa e appassionata.
Serve tanto coraggio per vivere, non solo per scrivere o curare, laddove il coraggio di cui parliamo è il coraggio dell’amore, della naturale predisposizione verso l’altro, gli altri, verso tutto quello che ci capita, anche verso le avversità, che sono pur sempre tappe del nostro viaggio, della nostra guarigione, della nostra vita.
Con queste ultime parole di amore e speranza, di promessa e di rinascita, Simona Lo Iacono ha salutato le tante decine di intervenuti, rimasti incollati alle sedie (nel frattempo arrivate) fino al termine di questo incontro.
Prima che l’autrice si dedicasse alla firma delle tante decine di copie che la Libreria Diana, con il suo supporto cortese e discreto, ma essenziale, ha messo a disposizione dei presenti, i Curamunì hanno regalato al pubblico un ultimo intervento musicale.
La loro canzone più importante, che ha vinto per la musica il prestigiosissimo Premio Andrea Parodi, la canzone pensata, composta, desiderata, offerta come eredità immateriale al figlio che stava arrivando, e che nel testo, nelle armonie, nel sentimento svolge pienamente la funzione di colonna sonora dell’incontro, una summa antologica dei temi dell’attenzione e della cura, trattati nella serata. Semu.
Semu cca, ci dicono i Curamunì.
Noi tutti qua siamo stati ieri sera e ora non ci resta che rivederci ancora tutti qua per un’altra serata di memoria, cura, attenzione, musica e poesia il 23 agosto con il terzo appuntamento di Un Curtigghiu di Libri.
Arrivederci.