Per un ritratto dell’artista da vecchio – Il vecchio al mare di Domenico Starnone – Einaudi

Quando ero un ragazzo veramente, cioè un ragazzo da poco tempo, con l’età giusta per esserlo, mi capitava di sedere su un muretto, su una panchina, posare il libro – che avevo sempre con me per non sprecare minuti oziosi senza leggere – e guardare, osservare, spiare la vita intorno a me.

Mamme con figli piccoli, coppie, persone sole, gruppi, passavano vicino a me per un tratto di pochi o molti minuti, si offrivano alla mia avidità di spettatore, di lettore delle storie altrui.

Captavo parole, espressioni, esclamazioni, sguardi, gesti, e ricostruivo nella mia fantasia la loro vita, prima di passare da lì, e quello che poteva accadere dopo. 

Quella mia personale condizione che ancora non sapevo chiamare ipersensibilità mi portava a gioire, arrabbiarmi, intristirmi, per quelle storie immaginarie in cui mi immedesimavo.

Domenico Starnone nel suo nuovo romanzo Il vecchio al mare, pubblicato con Einaudi, racconta proprio di un giovane sedicente, cioè un giovane da troppo tempo, con un’età in cui non poi più spacciarti per giovane, che ha esacerbato e incancrenito la sua tendenza a guardare da giovane la vita intorno a lui.

Arriva a scombussolare una piccola comunità che vive sul mare, nella coda finale, oltre il finale, di una estate che non sa di essersi già conclusa.

Ne viene fuori un racconto dolente e malinconico, fatto di sguardi, fantasie, ricordi e leggende personali. Una musica struggente di amore per la vita, deluso e tradito per pianificata determinazione.

Annullando la sua identità di scrittore senza un vero motivo, ma solo per una insolente abitudine alla pratica della menzogna, il vecchio Nicola, ottantaduenne, si ripassa per sommi capi la vita, divertendosi, un po’ perfidamente, a intrufolarsi con gesti sconsiderati e imprevedibili, nelle vite degli abitanti di quel microcosmo.

Scopre così di aver vissuto abdicando alla vita, di aver trasferito l’energia e la dinamica della vita nella scrittura.

Scopre di aver trattenuto, evitato, di aver superato gli ostacoli della sua vita, passando di lato. Scopre di non aver donato, di non aver restituito nemmeno in parte, l’amore che ha ricevuto, proprio perché la sua abilità nel prevedere, nell’immaginare come sarebbe, inevitabilmente, andata a finire, gli ha impedito di abbandonarsi, di crederci fino in fondo, di vivere pienamente la sua vita.

Scopre di aver cercato sempre la madre in ogni donna, anche se nessuna le somigliava, anzi proprio perché non le somigliavano affatto.

Una fantasia tra fiducia e gelosia, tra abbandono trattenuto e vertigine immaginata. 

Una conversazione jazz con se stesso nello stile del maestro Bill Evans.

Una ossessione disincantata da Hitchcock disincantato, una Kim Novak in canoa, o kayak.

Insomma, Starnone, ci regala ancora un altro personaggio a cui non smetteremo facilmente di pensare, un altro ritratto. 

Il ritratto di uno scrittore, di un artista, da vecchio, quando tirare i conti tra la vita vissuta e la vita fantasticata restituisce un bilancio sempre traballante. 

Ma non è così traballante per tutti questo bilancio? Giovani e no, donne o uomini, artisti, scrittori o no?

Una certezza però Starnone/Nicola l’ha raggiunta: “da vecchi si scrive peggio che da giovani”.

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