Miser Catulle – L’antico amore di Maurizio De Giovanni – Mondadori

I primi anni del mio liceo, orfano fresco, si imbrigliarono subito tra due adolescenti illustri, che lo restarono per sempre sconfiggendo l’anagrafe.

Gesualdo Bufalino, da cui venne Gingolph e Gaio Valerio Catullo da cui venne la persistente dolorosa condizione di innamorato di tutto.

L’amore per Catullo fu folgorante e definitivo. Imparai molti versi a memoria e non li dimenticai più. Una identificazione quasi totale con quelle emozioni e quei sentimenti. Era quasi inutile provare ancora emozioni e sentimenti, tanto bastava la risonanza dei versi.

Il primo fu una cover. 

Ille mihi par esse deo videtur

Da Saffo l’essere amato che sembra un Dio, anzi, se fosse lecito, supera tutti gli dei.

Quello che restò per sempre a mia immagine e somiglianza, ritratto di un adolescente innamorato che si dibatte riluttante nella coscienza della mancata corrispondenza di quei sensi amorosi fu 

Miser Catulle, desinas ineptire,
Et quod vides perisse perditum ducas.
Fulsere quondam candidi tibi soles,
Cum ventitabas quo puella ducebat
Amata nobis quantum amabitur nulla.
Ibi illa multa tum iocosa fiebant,
Quae tu volebas nec puella nolebat.
Fulsere vere candidi tibi soles.
Nunc iam illa non volt: tu quoque, inpotens, noli

Chi mi conosce non avrà difficoltà a immaginarmi estatico e nostalgico agitare il braccio destro accompagnando la nenia di quel Fulsere, prima declamato e poi sussurrato, nella maschera adolescenziale che rimane sotto questa barba sempre più sale che pepe.

Potevo allora trascurare la notizia che Maurizio De Giovanni aveva abbandonato le sue cicliche rappresentazioni partenopee di commissari e assistenti sociali per raccontare una storia catulliana?

L’antico amore, in libreria con Mondadori.

De Giovanni è scrittore facondo, ma non per questo distratto o serialmente ripetitivo. La sua penna volteggia tra le pagine e restituisce a ogni storia raccontata una dimensione eterna e indimenticabile.

La ricchezza della sua scrittura, napoletana nella teatralità e nella musicalità, fa la fortuna di chiunque voglia rappresentarne in televisione le storie.

Tutte le serie realizzate sono miracolosamente apprezzate dal pubblico e dalla critica. Su tutte, per me, ovviamente Mina Settembre.

E il miracolosamente di poco fa si riferisce alla capacità di mostrare il miracolo di quella scrittura che invita le produzioni a cimentarsi, trovando il lavoro già mezzo fatto.

Questo romanzo, che non fa mai il nome del Poeta del I secolo avanti Cristo, a cui abbiamo sacrificato l’anima, e che cita pochissimi versi a cui abbiamo immolato parte della nostra finita memoria, è però profondamente catulliano.

L’amore che circola tra le pagine e le parole è quell’amore irredimibile, insaziabile, inarrestabile, indimenticabile che il povero Catullo ha riversato nelle mani ingrate della “sua” Lesbia.

La tempesta che attraversa pensieri e azioni dei protagonisti del romanzo (romantica secoli prima del romanticismo) è visceralmente catulliana.

Addirittura, in un sovrapporsi vertiginoso di fatti ed eventi, sempre innominato, Catullo stesso ne diventa protagonista, quando De Giovanni ci sorprende raccontandoci di alcuni suoi passi, movimenti, incontri, emozioni.

Dai formidabili anni Sessanta vengono sia Adamo (se il giorno posso non pensarti…) che Luigi Tenco (di notte. Ti vengo a cercare…) a dirci che per gli adolescenti innamorati la notte è il tempo della follia, della incapacità di trattenersi, di tormento ed estasi. 

De Giovanni non è da meno.

“Se non dovessi ogni notte aprire gli occhi e avere dolorosa consapevolezza di me e del luogo e del tempo in cui mi trovo, e quindi con chiarezza comprendere che il sonno non verrà più a darmi pace, che il baratro che mi si spalanca davanti non è quello dell’incoscienza”

Tutto il romanzo si alterna tra questa quiete (apparente) del giorno e la tempesta malpadroneggiabile della notte. Come il dibattimento tra luce e lutto dell’altro nume adolescente comisano.

Tra i personaggi, tanti, tutti amabili e riconoscibili del romanzo, ne segnalo  uno, in cui ritengo si sia andato ad annidare De Giovanni stesso: Oxana, la badante rumena di uno degli anziani della storia, che con affetto, con sincera benevolenza, si offre di raccontarci, inconsapevolmente, quello che avviene, quello che lega, che agita, gli adolescenti innamorati di questo libro. 

“È solo allora che Oxana vede quel sorriso. Per lo più è un uomo triste, distratto, silenzioso. C’è qualcosa che lo angustia, qualcosa che è difficile da mettere a fuoco. Lei si limita a osservarlo, a studiarlo con discrezione. E a cercare in quella patina di malinconia una breccia che ne lasci intravedere l’anima.”

Una scelta azzeccatissima, l’unica che può raccontare senza che le budella si attorciglino, o la testa perda lucidità, la dirompente violenza, la adolescente irruenza di questo antico amore.

“Oxana aspetta nell’ombra. Sa che quel mestiere lo si può fare in due modi: si può mantenere il distacco, come suggerisce Ljuba, e valutare con cinismo le persone di cui ci si prende cura in una logica puramente commerciale; oppure si può, come accade a Oxana, lasciare spazio a una naturale forma di coinvolgimento e di affetto. Senza perdere le giuste misure, senza dimenticare i ruoli e le posizioni: ma senza impedire a se stessi di spegnere la diffidenza e voler bene.”

Per sovrappiù, De Giovanni riesce a operare durante il romanzo numerose giravolte a scangio, come amava Sciascia, come riusciva Consolo, dando una dimensione letteraria complessa e affascinante all’opera.

Proprio queste soluzioni narrative mi impediscono di addentrarmi nella trama, nelle trame, del libro. È assolutamente preminente il desiderio di preservare tutto il vostro stupore nella lettura. Tutta la meraviglia di parole, forza, sentimenti e giravolte va custodita con cura di lettore in lettore.

Niente da fare! Questo libro ci conferma, qualora non lo sapessimo già, che, nonostante ce lo diciamo sempre di smettere di fare il pazzo (desinas ineptire), non c’è età che tenga, non c’è situazione sociale che regga, noi, eterni adolescenti, non riusciamo, non smettiamo mai. 

Destinati obduramus

“Forse sei tu.

Abbracciami, amore mio. Abbracciami con le tue braccia gelide, stanotte.

E portami finalmente via, con i tuoi mille baci e le tue carezze menzognere.

Abbracciami, mio fiume. Portami via.

Amore mio.”

Leggete questo libro, fatevi affascinare e travolgere dal dolce ricordo di una tempesta.

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