Tra tutti ho scelto il post del mio amico Carmelo, a cui rispondo con affetto in questa lettera aperta.
Carissimo Carmelo, credimi che non è mia intenzione entrare in polemica con te o con altri, amici e non, che giustamente state manifestando sacrosanta indignazione per quello che avete letto.
Il fatto è che quello che avete letto non è vero. O meglio non è vero nella forma in cui ve lo hanno proposto.
La foto che pubblichi e commenti è una falsa notizia.
La sentenza di condanna di Turetta è una sentenza molto importante e molto avanzata nell’insidioso terreno del femminicidio.
Non è vero, come è scritto nella foto, che non contiene alcuna aggravante, anzi. Infatti, la condanna all’ergastolo senza aggravanti non sarebbe stata possibile (art. 576 cp).
Nelle motivazioni della sentenza i giudici si dilungano nel descrivere l’efferatezza del gesto e stanno molto attenti a inquadrare il comportamento del femminicida dentro la insopportabile perdita di controllo proprietario sulla vita di Giulia, sui suoi studi, sulle sue relazioni, sulle sue scelte di vita. La cultura patriarcale appunto che sostiene tutti i femminicidi. Nessun riferimento a pena d’amore, a impeto passionale, a delusione o tradimento. Nelle parole dei giudici Turetta ha lucidamente premeditato il delitto per punire, fermare colei che aveva manifestato una indipendenza che non riusciva a tollerare.
Due aggravanti e nessuna attenuante è il bilancio finale.
Questa sentenza diventerà un caposaldo nella giurisprudenza sui femminicidi.
L’aggravante della crudeltà in senso tecnico giuridico non corrisponde alla nostra comune nozione di crudeltà che nel nostro linguaggio quotidiano usiamo. Questo quadro crudele ordinario esce confermato da molte precisazioni dei giudici, e in maniera magistrale e inequivocabile.
La famigerata aggravante della crudeltà (sempre art. 576 cp) attiene a un profilo specifico di comportamento attraverso il quale l’omicida intenda volontariamente arrecare sofferenze ulteriori rispetto alla morte, dileggiare persino il cadavere. Questa aggravante non aggiungerebbe nulla alla pena, visto che altre due incontrovertibili hanno già integrato gli estremi per il massimo.
Aggiungerla però, senza gli elementi fondanti che richiede in senso tecnico e giuridico, ma facendosi spingere dalla rabbia (legittima) dei parenti e dell’opinione pubblica, avrebbe offerto spunti alla difesa in appello per smontarla, appunto perché infondata. Inoltre, questa crudeltà giuridica si accompagna spesso a indicazioni psicologiche di sadismo o altre distorsioni psichiatriche, che sarebbero il grimaldello per una eventuale semi o totale infermità mentale anche temporanea, che vanificherebbe gli effetti della sentenza e che i giudici hanno voluto escludere ora e in futuro.
Detto ciò, allargherei la riflessione sulle modalità di diffusione della notizia delle motivazioni della sentenza.
Abbiamo visto organi di informazione che con serietà hanno illustrato tutti i termini della questione e offerto all’opinione pubblica la possibilità di valutare e ragionare, anche criticamente, sui fatti, sulle parole, sui principi giuridici.
Abbiamo visto altri organi di informazione estrapolare il passo incriminato, una decina di parole, titolare strumentalmente, fomentare la rabbia e l’indignazione, che poi si è inevitabilmente infiammata sui social.
Ottenendo alcuni risultati:
1 – Per alcuni siti, guadagni con il clickbaiting;
2 – Offuscare meriti e valore dei giudici interessati (e di tutta la magistratura in generale – come ci si potrà fidare di un giudice che condanni un politico, se, anche in questo caso lampante, i giudici hanno dimostrato di essere ottusi e distanti dal senso comune?);
3 – Distrarre l’opinione pubblica per giorni da altre notizie più imbarazzanti e meno gestibili.
Diventa sempre più difficile districarsi tra le insidie di una informazione drogata e di una crescente indignazione rancorosa distratta e strumentalizzata che ci assedia sui social.
Il rimedio è sempre lo stesso. Non fermarsi al titolo, approfondire, confrontare, leggere, difendersi, non diffondere ciò che allontana dalla verità.
Per approfondire, appunto, ti lascio due link. La posizione del sociologo Luigi Manconi e una riflessione di Giornalismo digitale.
Scusami se ho approfittato di te per questo post, sai che ti stimo e ti voglio bene e l’ho fatto principalmente per questo.
Buona lettura
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