Non c’è bisogno di evocare Umberto Eco o Jorge Luis Borges per dire che una biblioteca è un mondo pieno di vita propria, dove le cose che la abitano sono appunto cose vive, i libri.
Se poi la biblioteca è quella dei Frati Cappuccini, con tutti gli scaffali ricolmi di libri antichi e moderni, con la scala a binario che gira tutt’intorno, l’effetto di vita straripante si moltiplica.

Se poi in quella biblioteca ci riuniamo per ascoltare la presentazione di una raccolta di poesie, davvero vive, che si chiama proprio Cose Vive, con Elisa Cappello, l’autrice e Nancy Russo, la moderatrice, la vita diventa traboccante.

Ieri sera, infatti, Nancy ha messo in piedi l’ennesima Connessione.

A connettere circa ottanta persone accorse in Biblioteca per le poesie di Elisa, c’erano le corde della chitarra del Maestro Nello Alessi, che ci ha introdotto nell’atmosfera giusta con una fantasia di Tarrega, con lo struggente Capriccio arabo, a ricordarci che su questo mare che diciamo nostro non ci affacciamo solo noi.
C’era il poeta, attore, Pippo Di Noto, che ha fatto rivivere ai presenti un estratto dal racconto che chiude la raccolta di poesie di Elisa.
C’era il professore Giovanni Salonia, psicoterapeuta di valore internazionale, ma, soprattutto, francescano che usa le parole come ali per trasformarsi in angelo di salvezza per chi lo ascolta.

La scena per tutti era occupata dalla tensione, dall’emozione, dalla sensibilità di Elisa, delle sue poesie, che volteggiavano tra il pubblico e il palco: con felice intuizione, Nancy ha distribuito ai partecipanti, in maniera casuale, le singole poesie, e ha chiesto a chi volesse, di leggere la poesia ricevuta ed esprimere le sensazioni provate, sentite leggendola.

È così davvero diventata viva, vitale, “di carne”, la poesia di Elisa Cappello, rimasticata, detta, sussurrata, declamata, storpiata anche, da altre voci, da altre sensibilità.
Ma cosa ha questa poesia che incanta, lega, suscita e atterrisce il lettore, l’ascoltatore?
Le poesie di questa raccolta di Elisa Cappello, come un filo legato ad un ago, rammendano, ricuciono insieme due esperienze umane fondamentali, la vita e la morte. La natura ed il dolore, il territorio e la memoria, si mescolano per indicare una via verso la vita, la nuova vita che viene dopo il dolore, dopo la separazione, il lutto.
In questo blog ci siamo occupati più volte della condizione di “orfananza”, quella speciale luccicanza (Shining) che segna chi ha misurato precocemente il dolore dell’assenza del padre o della madre.
Nella raccolta di poesie di Elisa Cappello è immanente la perdita del padre, arrivata a braccetto dello sconvolgimento totale pandemico che ci ha attraversato tutti. Segnatamente Elisa che, quando poggia i piedi per terra, è medico, e come tale, ha portato sulle spalle un peso maggiore durante la pandemia.
Nelle poesie di questa raccolta Elisa rovista nella sua memoria e estrae gemme, fiori, ricordi, che nella loro purezza diventano quelli dei lettori: la coperta sulle gambe del Riposino, si è subito rivestita di nostri ricordi – bivalenti, vista l’età, di coperte ricevute da figli e di coperte donate da padri -; il pollaio e l’aia di Cozzospine sono trasmutati in altre campagne, in altre Pasque, in altre pizze nel forno; le scale ocra di Ibla sono diventate le scale dei nostri ricordi; il liquore della pietra, il Petricore del suo autunno, ha sospinto alla memoria altri aromi, altri petricori, altri autunni; il passeggio mano nella mano bambina di Mentre tu muori ha risuonato di altri passi, altre passeggiate silenziose, alla ricerca di una eco, di una traccia, di una conferma, di una speranza.

In questa raccolta c’è spazio anche per il dialetto, il suono dell’anima, la voce della parte più recondita dell’anima.
Per il licore di miele di una ficu, sensuale e promettente; per lo smarrimento, per la ricerca di una chiave, che faccia da centro di gravità permanente; per dare il colore di questa parte del mediterraneo alla voce femminile della poesia per antonomasia, la voce di Saffo.
In questa ultima rilettura del frammento di Saffo, come ha indicato il professor Salonia, nella preziosa prefazione – e sottolineato ieri – Elisa muta la parola di Saffo, e la incornicia in una dimensione che le è propria: altrove ha detto “medico piaghe”, la cura, l’attenzione, connaturate all’essere medico, si riversano sulla poesia, altra forma di cura e di attenzione, che Elisa dona agli altri. Con questa ottica, l’originale canto alla luna di Saffo che si chiude con l’immagine della poetessa che dorme sola, nella musica iblea del dialetto di Elisa si trasforma in iu sula resto vigghianti. Elisa si incarica di restare sveglia per noi, di curare con la sua amorevole attenzione la nostra solitudine, il nostro dolore.
Il fatto poi che vigghianti era parola, suono, che usava spesso mia nonna, nel suo paese, più ibleo che aretuseo, è fatto che incide direttamente sulla mia anima e con lei me la vedrò in solitudine.
Così come era cominciato l’incontro si è chiuso.

Alle corde della chitarra del Maestro Alessi si è aggiunta la sorprendente voce di Elisa, che intonando Alfonsina y el mar, ha dipinto altra cura sulle anime dei presenti.
Foto di Marcello Bianca, che ringrazio per la cortesia