Tredici canzoni urgenti. Perché urgenti? Perché tredici?

Ascoltando le varie interviste che stanno facendo a Vinicio Capossela tutti hanno bisogno di sapere queste due cose. Le parole hanno un senso, e quelle di Vinicio spesso anche più di uno, ma non credo che la cosa più intrigante di questo disco sia in queste due domande. Vinicio Capossela torna con un disco perché ha qualcosa da dire al suo pubblico, ha qualcosa da dire all’umanità.
Tredici o venti canzoni non importa. Il suo discorso si è articolato in tredici quadri, ognuno ci legga quello che vuole. Volete vederci una via crucis particolare con tredici stazioni, va bene pure. Volete vederci un riferimento ai commensali della Cena per antonomasia, liberissimi. Volete vederci i mesi trascorsi dall’invasione russa in Ucraina, quando è uscito, e chi sono io per dirvi di no. Capossela per riderne risponde sempre per evitare di farne dodici, una dozzina, una cosa dozzinale.
Perché urgenti non serve chiederlo. Perché gli urgevano, perché non resisteva a tenerle dentro di sé, perché il mondo ne aveva urgentemente bisogno, perché l’urgenza in tutti questi sensi è la caratteristica dell’arte.
Ascoltiamole allora queste tredici lettere, queste tredici bottiglie naufraghe, queste tredici preghiere vane.
BENE RIFUGIO
Un mondo in disfacimento, una crisi climatica, una crisi culturale, una crisi economica, parole da Bloomberg News, per descrivere la follia del presente impazzito. In tutto questo l’artista, il poeta, scova il bene rifugio di questo tempo. Non è l’oro, non è il silicio, non è l’uranio, ma l’amore, la poesia stessa.
Il ghiaccio si scioglie, l'acqua è alla gola
Le cascate disseccano, la terra si crepa
La pioggia è un'alluvione, non c'è più stagione
Tu sei terra fertile, tu fertile terra
Sei il mio bene rifugio
Niente male come manifesto di ingresso, come locandina accattivante dello spettacolo che verrà rappresentato dentro questo disco. Lo spettacolo d’arte varia che Paolo Conte diceva. Ma è fragile per vivere, fragile per crescere questo amore, questo bene rifugio. Dobbiamo difenderlo come insegnava Prevert. O almeno avremmo dovuto.

ALL YOU CAN EAT
Come si offre allo sguardo questo presente all’uomo, all’abitante inconsapevole di questa terra, a chi non è poeta, a chi non vede e non ascolta?
Una ballata ironica e crudele incalza lo spettatore appena accomodato in questo teatro. La cifra identificativa di questo presente smarrito è la formula ingorda e consumistica della ristorazione pret a porter.
E se non è tutto quello che vuoi
È tutto quello che puoi
All you can eat
Mangia, mangia quello che puoi. Non conta più quello che vuoi, ma solo quello che puoi. Prendi tutto, non lasciare nulla. Nessuna remora, nessuna coscienza, nessuna sapienza.
Non c'è più limite, puoi esagerare
Questa è la libertà, questa è la libertà
Ti puoi scialare, puoi trasgredire
Senza più regola, senza più regola
Abbiamo fatto trenta, facciamo centocinquanta
All you can eat
Che bizzarro concetto di libertà ci offre questo fast food che è diventato il nostro mondo. Saltano tutte le proporzioni, se abbiamo fatto trenta non facciamo più trentuno, facciamo centocinquanta come quando la gallina canta. È il trionfo della incompetenza, dell’ignoranza assurta a merito fondante, della incoscienza.
Se tanto è tutto uguale
Se non conta più studiare
Se non conta più sapere
Se siamo irrilevanza
Se non c'è differenza nella terra dell'abbastanza
Se non c'è principio né speranza
Se non c'è principio né speranza
Se non c'è principio né speranza
Allora mangia
Un mondo in cui a nessuno importa più nulla del mondo stesso.

LA PARTE DEL TORTO
Quante volte abbiamo sentito questa frase abusatissima, per cui ostinatamente controcorrente non trovando posto dalla parte della ragione ci siamo seduti dalla parte del torto? Vinicio Capossela la ribalta (finalmente).
In una atmosfera alla Stupidistan di Stefano Amato, alla Idiocracy, Capossela ci racconta la conseguenza dell’all you can eat. Insediati come in un trono dalla parte del torto, gli uomini del presente ribaltano tutti i tavoli e legittimano ogni nefandezza. Abbiamo vinto e facciamo il cazzo che ci pare. E voi sinistri, voi buonisti, voi ottimisti e seguaci di tutti gli ismi che non servono più, voi che vi imbellettate di cultura, verrete anche voi dalla parte del torto. Ma quale scuola, viva l’ignoranza, niente noia, per carità, signora mia.
E se sei razzista, e se sei sessista
Che problema c'è? Dalla parte del torto
Detassati e ignoranti, egoisti, opportunisti
Tutti a cuor contento dalla parte del torto
Tutti brutti e sinceri quando saremo tanti
Quanto saremo veri dalla parte del torto
Un coro western, una colonna sonora alla Morricone accompagna questa involuzione. Un testo che deve molto a De André si adagia su questa colonna sonora. Le frustate che scandiscono il tempo della canzone non colpiscono i cavalli in corsa, scudisciano la nostra coscienza. Ci ricordano che non avevamo davvero titolo a stare seduti dalla parte della ragione, che era un altro torto anche quello. Infatti è stato facile spostarci tutti dalla parte del torto, diventare tutti parte del torto.
Finché saremo tanti
Finché saremo tutti
Parte del torto
Tutti parte del torto
Torto contro torto
Non c'è parte del giusto
Tutti parte del torto
E non c'è parte del giusto

STAFFETTA IN BICICLETTA
La prima contrapposizione. Severa come solo l’artista può essere. Vìolini e andamento largo per onorare un ricordo. Un ricordo minore, dice lui. Con una voce femminile essenziale a questa narrazione, la voce di Mara Redeghieri, la prima ospite di questo disco, la prima sorpresa dello spettacolo. Tanti nomi di donne, graziosi e leggeri, che sanno di pane fatto in casa, che sanno di bucato fresco, le donne che hanno dato tutto quello che potevano per fare la guerra alla guerra, per onorare la libertà, che non si limita a essere partecipazione come diceva Gaber. In questo mondo offeso nella sua ragione di vita dalla follia, la libertà è azione e responsabilità. Per quanto vi crediate assolti siete tutti coinvolti, aveva urlato l’impiegato De André.
Come il vento di primavera
Non si ingabbia nella rete
Come i vostri capelli, come i sorrisi
Come l'aria quando corre in bicicletta
Questa è la libertà, azione e responsabilità
Queste donne sono state baluardo di civiltà, testimoni di umanità. Sono state quelle che hanno opposto la cura alla violenza. L’umanità quando giunge il momento sa sempre da che parte stare, o almeno sapeva.
Guardo i vostri nomi che sanno di bucato
Che sanno di un altro paese
Di aspirazioni migliori in cui è venuto naturale
Prendere parte e da che parte stare
Con umiltà, con la forza della necessità, con la consapevolezza che in fondo non abbiamo fatto granché…

SUL DIVANO OCCIDENTALE
E oggi ottant’anni dopo quella guerra, quella Resistenza, quel vento in bicicletta, come si pone il mondo occidentale davanti alla guerra, all’invasione, alla violenza, alle armi?
Con il culo bello e comodo e caldo sprofondato sul divano a discettare di guerra e armi, di torti e ragioni, di distinguo e cavilli, senza mai alzarlo questo culo, senza mai poggiarlo su una bicicletta per vedere cosa si può fare, cosa ci può aiutare a ritrovare la ragione. Un bel gruppo di voci ospiti a spruzzare disprezzo su questi deretani al caldo, su tutti spicca Raiz. Una ballata tecno pop, degna del Battiato dei settanta. E giù disprezzo, vergogna e ignominia su tutti noi che stiamo comodi sul divano occidentale, con il nostro sguardo bovino, meritevoli solo di esserci nati qui.
Sul divano fronteggiamo
Le paure, sul divano
La mollezza a domicilio
Corpo inerte nel mobilio
L’inerzia e la mollezza non potranno che portarci al disastro. Il mondo occidentale si è votato alla autodistruzione.
L’Occidente va alla notte
Va a morire con il sole
L’Occidente va alla morte
Va a morire con il sonno
Europa, Europa dove sei?
Perché morire con il giorno
Se stride Oriente ed Occidente
Perché finire nel vapore?
Nemmeno l’Europa riesce più a trattenere l’Occidente dal suo tragico destino. È solo una illusione quella di resistere, di trovare la resilienza, di aggrapparci alla resilienza.
Sul divano occidentale
Non si sta poi tanto male
Ho il mio piano resiliente...
Resiliente sul divano
La fine incombe. Ce ne accorgeremo troppo tardi.
Sul divano occidentale
Fino al fungo nucleare
Sento una testa cadere
Sento una testa vacillare...
Ed è la mia
Un enorme indolente sbadiglio accetterà la fine inesorabile.

GLORIA ALL’ARCHIBUGIO
Una classica melodia medievaleggiante alla Capossela. Una marcia trionfale classica a passo militare che riecheggia un po’ Brancaleone. Per celebrare le nuove armi, le nuove potenti armi che possono metter a ferro e fuoco il mondo. Creazione di Belzebù. Un invito a far tacere le parole a lasciare che le armi forgino il nuovo mondo. Sarà un deserto, lo si chiami Pace.
Gloria, gloria all’archibugio
Il ferro tocca e subito scocca
Lampeggia a guisa di baleno
Scoppia e manda in aria il tuono
Treman le mura e sotto il piè il terreno
Il ciel rimbomba al paventoso suono
Spezza le mura e i gravi marmi svelle
E i sassi da volar fino alle stelle
ARIOSTO GOVERNATORE
Facciamo allora che governino i poeti. Ripetiamo l’esperimento di Ludovico Ariosto. Diamogli una reggenza. Ma il poeta può solo offrire parole, il potere comprime le parole. Cosa può un poeta contro la follia?Ariosto lo sa dove si trova il senno, ce lo ha mandato lui sulla luna. La riflessione finale è dunque disarmante.
Se il senno è sulla luna
Qualcuno l'ha raccolto e lo raduna
Se la ragione è qui che si conserva
Vuol dir che sulla Terra
Non è rimasta che follia
Non è cosa da poeti il governo. Con le parole il mondo non si cambia dallo scranno di governo. La poesia può solo illuminare. Non deve governare.
Non c'è legge che sortisca effetto
Di qua, di là, di su non c'è giustizia
Mi faccia ritornare sua eccellenzia
Al disordine furioso della mia follia
Che gira come giostra in tondo

LA CROCIATA DEI BAMBINI
La prima canzone sfuggita all’autore, messa in circolazione nell’anniversario della invasione russa. La prima urgenza, la prima necessità. Questa canzone è struggente, dolorosa, una ferita sanguinante e che brucia accecando ogni filosofia, distrugge ogni poesia.
Cosa può fare l’aedo?
Cosa può fare il poeta?
Cosa può fare il filosofo?
Cosa può fare l’uomo, quando i bambini vengono trascinati nell’assurdo vortice di una guerra?
Ci vorrebbe un Dio, vendicativo, irascibile, da Vecchio Testamento! Ci vorrebbe un Dio che atterrisca e disperda questa insulsa umanità che permette solo uno dei troppi quadri strazianti che racconta Vinicio in questa preghiera. Che faccia affondare tutti i nostri sederi occidentali dentro il divano e soffochi tutte le nostre giustizie che diventano torti marci.
Si ascolti tutta, con religiosa attenzione, questa canzone, si legga il testo, si rilegga, si diffonda, si sfidi lo scandalo, si rammenti l’umanità all’uomo.
LA CATTIVA EDUCAZIONE
Non c’è solo una forma di guerra. L’uomo usa violenza sull’uomo in molteplici forme. Il femminicidio scaraventa sulla nostra strada un numero sempre crescente di vittime. Una Bella Ciao differente è la denuncia di Vinicio Capossela che ricorre alla voce di Margherita Vicario per dare colore a questa donna che una mattina non si è svegliata e l’invasore ce l’aveva in casa.
Son stati i padri, è stato il sacrificio
Son stati i rifiuti a cui non si è educati
È stata la cattiva educazione
Che non ha mai insegnato l'emozione
È stato il falso romanticismo
Che non si romanzi più l'orrore e il disonore
Non c'è niente, niente da salvare
Chi ha ucciso, ha ucciso e questo è criminale
Pesano come macigni, come una maledizione, questi secoli di cattiva educazione da cui dobbiamo riemergere, da cui dobbiamo rinascere. Troppi chiodi sulla stessa croce.

MINORITÀ
Una condizione comoda, irresponsabile, apparentemente degradata. La condizione di chi non sa che farsene della libertà. L’antitesi proprio della libertà. Quale azione, quale responsabilità? Consumare senza evoluzione. Chiusi in una prigione dove il corpo decade ma non cresce. Una condizione esistenziale geolocalizzata. Frutto di storia, di abitudine, di esperienza.
Che sarebbe mai successo a Lei
Se solo fosse nato dove sono nato io?
E che cosa è successo a noi
Che non siamo nati dove siete nati voi
Che non siamo mai stati padroni nemmeno di noi
Un’altra conseguenza dei secoli di cattiva educazione l’incapacità di affrancarsi dalla minorità.
CHA CHA CHAF DELLA POZZANGHERA
Un’orchestra da ballo anni cinquanta ci vorrebbe per accompagnare degnamente questo ironico cha cha cha. L’impertinenza, l’anarchia, l’irrequietezza che fanno di un bambino – di un minore – un uomo. L’unica arma per sconfiggere la minorità.
Non voglio crescere
Voglio imparare
A desiderare
A non mentire invano
Non voglio nascondere
Quel che mi prende all’amo
Non mi voglio abituare
A parlare piano
In un salto solo
Un passo a piedi pari
E ballare il cha cha chaf nella pozzanghera
Sporcarsi le scarpe, i piedi, cadere nella pozzanghera fino alla cintola, smontare gli schemi. Rischiare, osare, irridere, fare scoppiare con i piedi le pozzanghere. Nel fango c’è la verità.
IL TEMPO DEI REGALI
Un valzer maestoso. Una resa dei conti. Un bilancio conclusivo. Abbiamo vissuto, abbiamo visto, abbiamo ascoltato. Tutto è stato un regalo. Riconoscerlo è già un risultato. La consapevolezza della ciclicità una conquista. I conti alla fine tornano.
Il tempo dei regali è andato amiche mie
Il tempo dei regali tornerà
Il tempo dei regali troverà
Il modo di creparci ancora il cuor
È solo la crepa che libera la luce
Solo con la crepa la grazia ci ricuce
E tutto è stato un regalo
Se tutto è stato un regalo
Quel che conta è solo regalar
Una parata circense, echi felliniani di Otto e mezzo, per questa gratitudine colma di grazia.

CON I TASTI CHE CI ABBIAMO
Una piccola serenata, una melodia sdentata, per il filo di speranza che l’offerta gastronomica del centro commerciale ci voleva negare. Non finisce mica il mondo. Con quello che abbiamo, con quello che abbiamo conservato, salvato, potremo ritornare al tempo dei regali, al tempo delle scelte, al tempo degli esseri umani.
Con i tasti che ci abbiamo
Bianchi e neri, giocheremo
E di un limite faremo una possibilità
La scoperta è semplice, stava sotto i nostri occhi, aspettava che la vedessimo.
Non è l'utile il fine del gioco
Il fine del gioco è giocare
Non è neanche tanto nuova. Altre storie, altre guide, lo avevano insegnato. È sempre viva la vecchia lezione psichedelica.
E se il gioco è stato bello
Allora è stato anche buono
La storia rinnova la vecchia lezione
Al potere l’immaginazione
L’immaginazione al potere e il cuore votato all’amore. Irredimibilmente.
Con i tasti che ci abbiamo
Solo quelli suoneremo
Con le armi che ci abbiamo
Con quelle finiremo
Con i denti che ci abbiamo
Quelli stringeremo
Con il cuore che ho
Con quello ti amerò

Così si chiude questo breviario di tredici canzoni urgenti. Con questa immagine di suonatori, di bruxisti, di amanti che sfruttano tutto quello che hanno, anche poco, anche precario, anche se fosse solo una bicicletta in cui nascondere dispacci, per costruire il nuovo mondo che riporterà il senno dalla luna sulla terra.
Grazie ancora una volta Vinicio.