E niente questo arriminare nella musica oriunda di mio papà sta generando strani frutti.
Rovistando nella memoria musicale, sono incappato in Rosa Balistreri. Per associazione pindarica (forse non casuale come vedremo alla fine) sono andato alla Ballata del Prefetto Mori. Testo di Ignazio Buttitta, musica di Ennio Morricone, voce, ca va sans dire, Rosa Balistreri.
« Parti, prifettu!… Parti – ci dissi a Mori Mussolini,
« Metti 'n galera la mafia cu tutti l'assassini..
Vonnu 'u cumannu, vonnu 'u putìri - lu putìri mìu
Ma su' nimici di li fascisti e nimici di Diu! »
E Mori partìu… ed arrivau cu un trenu spicïali
senza sapìri ca ci facìa lu servu ô capitali…
...Di notti ô scuru, li sbirri cuminciàru li ritati
scassànnu 'i porti e tràsinu 'nte casi stracanciati
E sull'istanti curpevulennu genti a la rinfusa
'i tiraru fora e s'i purtàru chi catìni ê pusa.
I matri e i figghi currennu appressu ai patri e a li mariti
vannu chiancènnu... vannu chiancènnu e chiànciri 'i sintiti.
Mi chianci 'u cori, ora ca terminavu di cantari
'sta storia vera - si pensu ca la mafia è na l'altari..
e addisunùra 'sta terra onesta nun voli e chi voli
pani e travagghiu, la libbirtà, giustizia e li scoli.
Ah no a mafia! E no alla liggi infami da lupara!
e no unùri! Unùri e gloria a cu arrobba e spara!
Chistu gridamu, è nostra 'a vuci ca arruspìgghia i morti
ca stanchi semu, e vulemu canciàri vita e sorti...
Fu colonna sonora, straziante e struggente del film Il Prefetto di Ferro di Pasquale Squitieri. La signora Squitieri, la Claudia Cardinale del Gattopardo e di Otto e mezzo che ci ha raccontato Francesco Piccolo ne La Bella Confusione, campeggia sui fotogrammi con la sua bellezza imbronciata e recalcitrante come la vedova del Giorno della Civetta. Se gli occhi della Cardinale nel film di Damiano Damiani incontravano lo sguardo continentale del Franco Nero/Capitano Bellodi, in questo film incrociano lo sguardo di ghiaccio di Giuliano Gemma, che impersona il prefetto Cesare Mori, mandato da Mussolini a sconfiggere la mafia, e che passò alla storia con l’epiteto di Prefetto di Ferro, da cui il titolo del film di Squitieri.

La narrazione di Squitieri, confortata da tanta storiografia, mostra un Mori, determinato e deciso a sconfiggere la malapianta della mafia, che utilizza metodi e modalità discutibili, ma efficaci. Solo quando alza lo sguardo sulle complicità che favorivano lo sviluppo delle articolazioni brigantesche della mafia, giunge da Roma, dallo stesso Mussolini, il più classico promuoveatur, ut amoveatur. La promozione che rimuove l’ostacolo alla prosecuzione dei traffici.
Il dialogo di saluto tra il prefetto e il suo delegato Spanò, uno strepitoso Stefano Satta Flores, in formissima, rimane un documento emblematico delle difficoltà di colpire la mafia al di sopra del livello criminale vero e proprio, che ogni epoca ha riscontrato.

Il film è del 1977, il ritorno di Dalla Chiesa a Palermo non è neanche immaginabile. Il Colonnello dei Carabinieri, lasciata Palermo per il Piemonte, aguzza l’ingegno per sconfiggere le BR.
Quando, l’ormai Generale, tornerà a Palermo da prefetto, scattò subito l’identificazione e fu chiamato a sproposito Prefetto di Ferro, come Mori.
Credo di aver visto e rivisto il film più volte. Al cinema sicuro e poi in qualche passaggio televisivo, con papà. Il film è cinematograficamente bello, ma molto poco politicamente corretto.

Anche se ero ancora studente medio, ricordo la bruttissima sensazione di assistere alle atrocità compiute da Mori nel film. Ricordo le tante polemiche con papà che in linea di principio difendeva Mori, ma si arenava di fronte alle contraddizioni tra la sua grande umanità che mi insegnava e trasmetteva, e la disumanità rappresentata sullo schermo.
In particolare ricordo la rabbia e l’ingiustizia che mi accendevano quando assistevo ai rastrellamenti del piccolo paese dove si nascondevano i briganti mafiosi. Venivano arrestati tutti gli uomini, anche se innocenti, e Mori sapeva che erano innocenti, per spingere i briganti a venire fuori.
Non bastò.
Furono arrestate le mamme e le sorelle dei briganti. Vedere tutte quelle donne, rigorosamente vestite di nero, afferrate e trascinate nelle carrette dei Carabinieri, mi offendeva radicalmente. Mi sembravano tutte mie nonne e trovavo intollerabile quel modo di agire.
Ma non bastò neanche questo.
Mori chiuse l’acqua a tutto il paese, assetando bambini, donne, uomini e bestie.
Qui scattava la reazione mia più scomposta. Ogni volta. Qui vacillava la difesa istituzionale di papà. Qui entrava nella discussione anche mia mamma, che sentenziava definitiva: No! Così non si fa!

Dalla Chiesa non fece in tempo a mettere in piedi la sua strategia. La mafia non lo promosse, lo rimosse brutalmente. Ma la sua attività precedente con la mafia e con il terrorismo, ci consente di escludere il ricorso a queste forme di disumanità.
Grazie a questo avemmo ragione a dire che Dalla Chiesa non era il Prefetto di Ferro, che quella semplificazione giornalistica era sbagliata, che la democrazia non applica le forme della dittatura.
È con dolore, con vivo dolore, che però possiamo dire che Benjamin Netanyahu sta meritando la definizione di Premier di Ferro.
Sei sempre profondo e interessante
Grazie