Molta musica oriunda l’ho assorbita in quella fase del giorno in cui cullato da mamma o papà cedevo arrendevole al cuscino del sonno.
Papà più che cantare preferiva fischiare, oppure, quando si sentiva ispirato ricorreva all’opera e, sempre per non cimentarsi nel canto, mi accompagnava al sonno con il coro a bocca chiusa dalla pucciniana Madame Butterfly: Humming Chorus.
Una melodia avvolgente come una coperta d’inverno, modulata intonando ispirato e che mi ha trasmesso la forza della musica a prescindere dalla forma.
Uno sguardo verso il passato, più passato ancora delle mie notti di sonno con Puccini, lo ha rivolto anche Paola Cortellesi con la prima opera cinematografica realizzata da dietro la macchina da presa, dal titolo C’è ancora domani.

Un film in cui la musica svolge un ruolo fondamentale, con musiche già note, utilizzate in maniera non solo didascalica, ma a sostanziale completamento dell’opera. Anche in maniera sorprendente e surreale, come già nei titoli di testa. Dopo la canzone antica delle prime scene che contestualizza il tempo della narrazione, un ritmo sfasato con il tempo dello schermo, una musica più attuale che storica, non contestuale, accompagna la carrellata che vede Delia / Paola Cortellesi attraversare la Roma del 1946 mentre i titoli scorrono. Non sarà l’unico momento in cui le musiche sottolineeranno le scene ricorrendo a sorprese vere e proprie.
Il bianco e nero di questo film è molto attenuato, non offre nitidezza e contrasto tra chiari e scuri. Una tonalità prevalente di grigi impasta le scene del film. Quasi non volesse prendere posizione. Anche questo elemento tradisce un riferimento alto, che va oltre il richiamo al neorealismo che ci si poteva attendere dalle anticipazioni. Il riferimento è alla Roma dello Sceicco Bianco, è alla Rimini dei Vitelloni. La luce in bianco e nero vira verso i toni medi, come fece la luce dei colori di Scola in Una Giornata Particolare, con un’altra donna prigioniera protagonista.
La trama di questo film non ve la posso raccontare, non ve la voglio raccontare. La storia sviluppa svolte sorprendenti, scelte surreali, idee esplosive, inganna e prende il giro lo spettatore, pur offrendogli quasi a ogni istante elementi che lo potrebbero mettere sulla giusta strada.

Gli attori sono tutti calibratissimi. Recitano con naturalezza ruoli anche ripugnanti. Mastandrea e Colangeli per esempio. Su tutti però si stagliano la stessa Cortellesi, maschera cinematografica perfetta per la donna che interpreta, ed Emanuela Fanelli, che riempie tutti i toni di grigio dello schermo quando è sulla scena.
La mano della neoregista è ferma. La scelta delle inquadrature, i movimenti sulla scena sono maturi e compiuti, non presentano imperfezioni e sbavature che ci potremmo attendere da una mano esordiente.
Mi permetto solo una lievissima anticipazione sottolineando l’impatto poetico di un momento del film con i denti sporchi di cioccolata.
C’è ancora domani è una commedia. Momenti di divertimento sano, curato, frutto di umorismo fine e superiore, si alternano a scene drammatiche, intense, ma non patetiche.
C’è ancora domani è un film surreale. Soluzioni inattese e sorprendenti che servono a dare misura e spessore ad alcune scene senza ricorrere alla crudeltà.
C’è ancora domani è un film storico, che racconta una storia dentro la Storia, con ricchezza di dettagli, di ambientazione, di dialoghi, di scenografia.
E’ anche un film ricco di omaggi disseminati lungo lo scorrere delle scene. Non sono convinto di averli colti tutti, avrò bisogno di rivederlo altre volte per ricercarne altri ancora. Le punture a domicilio come la Magnani di Bellissima. Le esequie che strizzano l’occhio a Eduardo. La fruttarola Fanelli come in Campo dei Fiori, o la Ralli di altre indimenticabili pellicole.

Ma, soprattutto, per tornare alle prime suggestioni, la lunga sequenza della Sera dei Miracoli, che assume sapore squisitamente felliniano, che riporta alla mente i quadri della partenza di Moraldo, vitellone che si sottrae al suo destino.
Infine, C’è anche domani è una orazione civile. Sfidando l’ossimoro, una orazione civile a bocca chiusa.
Qualche giorno fa per presentare un film al nostro CineClub ho fatto riferimento a un passo dell’ultimo libro di Veronica Raimo sulla difficoltà di trovare la maniera giusta di trasmettere la cultura femminista di madre in figlia. Raimo fa dire al suo personaggio che non ci si riesce, perché siamo fragili, perché la relazione madre figlia rimane intrinsecamente gerarchica e contrasta ideologicamente con la libertà.
Paola Cortellesi risponde e risolve questa difficoltà. La cultura femminista (meglio femminile, di difesa della libertà e autodeterminazione della donna) non si trasmette con le parole e con gli slogan. Si trasmette con gli atti, con le scelte, con i fatti. A bocca chiusa. Già, come il Coro della Butterfly.
Dopo questa eccellente recensione, le mie aspettative sono alte…ma già dalla locandina e dalla mia sfrenata passione per la Cortellesi, sono sicura che ne resterò estasiata❤️
Per rispettare chi deve ancora vederlo ho dovuto tacere di alcune scelte e soluzioni che ti piaceranno tantissimo. Grazie 🤩