Prima che la tecnologia sviluppasse e moltiplicasse i dispositivi attraverso cui riproduciamo creazioni artistiche, noi Generazione 60 avevamo poche alternative, ma comunque prodigi mirabili per chi ci aveva preceduto.

Dopo secoli in cui le favole viaggiavano tra le pagine dei libri o le voci di mamme e nonne, noi avevamo i piccoli microsolchi, i 45 giri, o le musicassette, che ci raccontavano le favole. La più famosa era la serie che iniziava con la canzoncina A mille ce n’è. Le Fiabe sonore della Fratelli Fabbri Editori.
E’ ormai pacifico che la diffusione delle fiabe svolge una funzione essenziale e insostituibile per accompagnare la crescita di donne e uomini, che attraverso le iperboli e le vicende fantastiche delle fiabe imparano a conoscere il mondo e a conoscere se stessi.
In forma più o meno consapevole continuiamo a cercare fiabe tutta la vita per comprendere meglio i fenomeni e le situazioni che il mondo ci propone.
Una piccola, ma raffinata casa editrice di Siracusa, la Nuova Strige, ha pubblicato di recente un libro che incuriosisce sin dal titolo. Il libro è scritto da Aurelio Saraceno, da oltre quaranta anni psicologo attivo nella sanità pubblica della nostra terra. Il titolo è Sulle orme di Chirone.

Chirone, chi era costui?
Nella tradizione mitologica greca, Chirone è il più sapiente dei Centauri. Figlio di Crono e dell’Oceanina Filira. È conosciuto soprattutto come educatore di dei ed eroi, è il primo medico e inizia Asclepio alla conoscenza delle erbe e alla medicina.
Di medici, infatti si parla in questo libro di Aurelio Saraceno. Il protagonista è un medico, Ettore, uno scienziato, un provetto scienziato che sa sempre cosa fare e cosa dire nel suo campo. Un uomo perfettamente risolto che vive con orgoglio e soddisfazione la sua professione.
Nella preziosa e prestigiosa prefazione di Anselmo Madeddu per definire questo libro si fa riferimento alla Medicina Narrativa.
I tre lettori di questo blog sanno che non troveranno qui altrettanta sapienza tecnica e preparazione, ma solo emozioni e pensieri in libertà.
In questo quadro, questo libro fa l’effetto di una favola. Un racconto fiabesco.
Ma anche l’effetto di un moderno mito, e il rimando a Chirone giustificherebbe questa configurazione.
Questo racconto possiede anche una funzione parabolica, la funzione di racconto evangelico per mostrare un percorso di crescita, di salvezza.
Proviamo ad addentrarci in questo racconto, un po’ mito, un po’ parabola e un po’ fiaba.
Una famosa novella di Luigi Pirandello si chiama Il treno ha fischiato.
Il protagonista di quella novella, dopo anni di vita serena e soddisfacente, rimane colpito da un fatto assolutamente ordinario, che si era verificato tante volte, senza mai generare particolare effetto, il fischio del treno. Quella volta il fischio del treno gli rivela qualcosa a cui non aveva mai pensato, cambia radicalmente le sue prospettive sui fatti della vita. Quel fischio lo porta a ripensare completamente la sua vita e rimane incredulo e basito quando tutti i suoi amici, i suoi cari, non comprendono la portata rivoluzionaria del fatto che il treno abbia fischiato.
Al nostro medico, a Ettore, ciò avviene quando assiste da automobilista a un gravissimo incidente stradale che coinvolge un giovane.
Per lui ordinaria amministrazione, ma quella volta no. Davanti a quella tragedia che per imperscrutabili filame lo tocca più da vicino di quanto era pronto a credere, la sua scienza vacilla, sul medico prevale l’uomo e tutti i suoi parametri saltano, mettendolo davanti alla sua incompiutezza, alla sua falsa onnipotenza che la fede nella scienza gli aveva promesso.
Da questo “fischio del treno” prende il via una vicenda paradigmatica che merita di essere goduta dai lettori che vorranno confrontarsi con questo libro e che, come di consueto, proteggeremo da rivelazioni indiscrete, per non inficiare il loro piacere.
Per raccontarvi di questo libro proviamo a girarci intorno e arricchirne la descrizione. A questo racconto al sapore del mito, al profumo della parabola e al gusto della fiaba, possiamo aggiungere un’altra caratteristica che lo possa descrivere. Possiamo aggiungere che ha un carattere sinfonico.
Milan Kundera nel celeberrimo romanzo L’insostenibile leggerezza dell’essere, declina i caratteri del romanzo sinfonico. Indica in ognuno dei quattro personaggi principali, un tema della sinfonia, e il loro alternarsi sulla scena delle pagine realizza la combinazione e l’alternanza dei temi della sinfonia. Addirittura dopo la metà del romanzo lo esplicita e abbandona per un po’ la finzione dei personaggi ed espone i quattro temi.
Così in questo libro di Aurelio Saraceno, il carattere sinfonico lo troviamo in ogni personaggio principale che sostiene un tema della sinfonia. Ovviamente Ettore, il protagonista, la moglie, i vicini (due temi diversi connessi da un tema principale e due variazioni sul tema), Daniele: il tema della speranza, del futuro.
Daniele, merita qualche annotazione in più. Daniele, il figlio dei vicini, è il prototipo del superstite. Il figlio che sopravvive alla tragedia familiare, l’altra vittima della tragedia. Il ruolo in cui debuttò Jasmine Trinca nel film di Nanni Moretti, La Stanza del figlio.
Ma non solo. Daniele è davvero un tema trainante di questa sinfonia.

Forse per la sua natura di racconto multifunzionale, come abbiamo detto, e per giunta sinfonico, nel suo dipanarsi la vicenda omette molti dialoghi diretti. Prevalentemente tutto viene narrato indirettamente.
Aggiungendo una metafora ancora a questo libro, possiamo dire che è costruito come un soggetto cinematografico.
Così inquadrato, si potrebbe temere che rimanga un libro incompiuto, che manchi della sceneggiatura.
Ma non è così.
Tornando alla medicina narrativa, la sceneggiatura qui manca volutamente.
Le linee narrative del soggetto, della parabola, lasciano a noi lettori il compito di integrarla la sceneggiatura, in funzione propriamente maieutica, che è sempre una funzione della medicina.
Verso la fine della storia si fa largo un altro tema sinfonico, il tema dello stress etico, del dubbio e della paura del protagonista.
Questo temo è agito da un paziente particolare, molto particolare. Un ammalato di SLA che si autodefinisce con amara ironia SLAvo. Sono pagine intense, che scavano, che incidono sui nervi anche del lettore, e che consentono all’autore di manifestare lucidamente e serenamente alcune considerazioni sul fine vita, che da sole valgono la lettura del libro.
In questo racconto mitologico, fiabesco, parabolico e sinfonico c’è anche lo spazio per alcune considerazioni su una categoria di protagonisti del mondo della sanità: le associazioni di volontariato. In queste pagine si riconoscono gli anni di esperienza di Aurelio Saraceno presso l’Hospice di Siracusa, guidato dal dott. Giovanni Moruzzi, e la frequentazione con la CIAO, la Onlus che collabora con l’Hospice. La capacità di discernere tra la funzione del volontario e la funzione del medico, tra la natura obbligatoria di alcune prestazioni, e la natura spontanea delle altre, aggiungono a questo libro anche la componente di apologo civile e sociale.

Non ci siamo dimenticati di Chirone.
Nella sua parabola umana e professionale Ettore deve ripercorrere il cammino di Chirone, deve seguirne le orme appunto.
Chirone, infatti, in quanto di natali divini, è divino anch’egli, immortale. Nei suoi maneggi con l’insegnamento della guerra e della medicina rimane ferito, ma la sua arte medica non è ancora sufficiente a guarire le degenerazioni della sua ferita. Rimane destinato a sopportare per l’eternità i dolori dell’infezione. Un tormento sovrumano anche per una divinità.
Implora allora Zeus di togliergli la natura divina e immortale, renderlo umano affinché possa prima o poi porre termine alla sua sofferenza con la morte. Quando acquista l’umanità, solo allora, Chirone impara che la sofferenza non è fine a se stessa, ma è percorso di crescita e di salvezza e impara a conviverci, accettandola.
Così Ettore, lo scienziato provetto, il dio protetto dalla scienza medica e dalla sua proiezione tecnologica, quando incontra la sofferenza, quando sente fischiare quel treno, perde l’invincibilità e l’onnipotenza che anche il suo nome condottiero gli assicurava, e acquista la fragilità umana, la sensibilità umana, distoglie lo sguardo dai monitor e vede gli uomini e le donne accanto a sé, e compie il suo percorso di crescita e salvezza.
Se poi aggiungiamo che esiste una versione del mito di Chirone nella quale, questi scambia la sua immortalità con la mortalità di Prometeo, la vertigine tra mito, parabola e favola si compie. Siamo di fronte a un racconto, che, come vi avevamo anticipato, nasconde una parabola, custodisce un mito e narra una fiaba. Come quelle che cinquant’anni fa cominciavano con la canzoncina:
A mille ce n’è nel mio cuore di fiabe da narrar
Venite con me nel mio mondo fatato per sognar…
Non serve l’ombrello
il cappottino rosso o la cartella bella
per venire con me…
Basta un po’ di fantasia e di bontà