Avete visto quelle meravigliose carte geografiche che si trovano nei Musei Vaticani?
Al principio della scienza della redazione delle carte geografiche, la loro rappresentazione era Romacentrica, cioè le regioni intorno a Roma era disegnate come viste da Roma. La Sicilia è, infatti, rappresentata “al contrario” rispetto a come siamo abituati oggi a vederla sulle carte. Come se il disegnatore, venendo da Roma cominciasse da Messina a scendere verso il sud e l’ovest a segnare miglio dopo miglio la terra che scopriva.
In alcune carte ancora più antiche, nelle zone inesplorate – come era la Sicilia in alcune di queste – era impressa l’iscrizione: “Hic sunt leones”, oppure “In partibus infidelium”.
Non sappiamo se Scipione Macchiavelli, commissario di polizia, dirigente del Commissariato di Via Veneto a Roma, guardasse alcune di queste carte, dopo aver saputo di essere stato trasferito, ex abrupto, a Noto in Sicilia, pochi giorni prima del Natale 1964. Ma il sentimento di essere respinto e cacciato tra i leoni e gli infedeli era proprio quello.
Scipione Macchiavelli è il nuovo personaggio creato dalla penna di Cristina Cassar Scalia, la regina italiana del noir, amatissima dal suo pubblico, quanto Vanina, la vicequestora che ha occupato tante sue pagine precedenti a queste.

Per le edizioni Einaudi è stato pubblicato, infatti, Delitto di benvenuto, il nuovo romanzo di Cristina Cassar Scalia che fa debuttare sul palcoscenico del noir, il Commissario Macchiavelli.
Per Cassar Scalia questo nuovo romanzo è una strepitosa macchina del tempo, che le consente moltissime opportunità.
Innanzitutto, abbandona la quasi contemporaneità del mondo catanese e palermitano di Vanina Guarrasi, per calarsi in un ben diverso dicembre 1964. In particolare nella Noto del dicembre 1964.
Noto, barocca e nobile, provincia di Siracusa, in quegli anni ancora definita provincia babba. Paese che ha dato i natali alla scrittrice, paese in cui è radicata tutta la sua storia familiare.
In un certo senso, Cassar Scalia fa un passo avanti nella sua passione per il cinema italiano degli anni tra cinquanta e settanta, che è una costante del microcosmo di Vanina. Con questo romanzo la pagina entra dentro quel cinema, non si limita a ospitarlo.

Con questo romanzo mette alla prova la sua capacità letteraria e narrativa per descrivere credibilmente pensieri e comportamenti, emozioni e sentimenti, di un giovane uomo di trent’anni. E davvero la scrittura di Cassar Scalia si adegua, si adagia, si distende sui pensieri di questo giovane uomo, vanesio, sciupafemmine, protagonista involontario della Dolce Vita romana che si snoda davanti all’ambasciata USA nella via Veneto di Fellini. Un poliziotto per caso, senza particolare intenzione – laddove Vanina era una infuocata figlia d’arte – che per un inciampo di letto si trova deportato in un paese siciliano che, nella sua beota ignoranza, non sa neppure in quale parte della Sicilia sia (tra leoni e infedeli, appunto).
Se il microcosmo di Vanina rappresenta il presente di Cristina Cassar Scalia, e, con i frequenti riferimenti pedagogici alla strage di Capaci, testimonia di un impegno costante a non dimenticare quelle donne e quegli uomini che la Mafia l’hanno combattuta fino allo stremo, anche da sole o da soli, con le avventure di Scipione, Cristina ha l’occasione di raccontare il suo passato, il passato della sua famiglia, della sua città natale. Descrivere quel microcosmo di nobiltà e pasticceria che direttamente, e attraverso i tanti racconti raccolti negli anni, è il suo microcosmo, il suo buen retiro, il suo nido.
Oggi abbiamo una immagine di Noto molto patinata, una città turistica, che oscilla tra la fruizione di massa dell’Infiorata e il turismo elitario e selettivo delle Seven Rooms.
Oggi Noto è una cittadina simbolo dell’inclusione LGBTQ+, la cittadina dove si tiene il festival Giacinto.
La sua diocesi è stata agli onori della cronaca più volte, da questa diocesi è partita la Pop Theology oggi in circolazione nella Chiesa.
Oggi Noto accoglie tra i suoi abitanti più o meno stabili, imprenditori, politici, intellettuali, architetti, grandi manager, che hanno acquistato immobili (fuori e dentro le mura cittadine) e li hanno trasformati in alloggi lussuosi e accoglienti. Si è realizzato a Noto quello che un decennio fa sembrava il destino della terra iblea tra Ragusa e Modica che veniva definita nelle riviste di settore Ragusashire – il nuovo Chiantishire.
La Noto che accoglie Scipione Macchiavelli è una Noto diversa, una Noto più antica, con le macchine che la attraversano dalla Porta Reale al Teatro Comunale, passando per il Duomo e il Caffè Sicilia.

Nel microcosmo netino ci sono molti spunti anche oggi in parte identificabili. Ci sono le famiglie nobili e imprenditoriali di via Nicolaci, c’è una farmacista sveglia e ‘nginiusa, come direbbe mia mamma, che ricorda alcune famiglie di farmacisti storici di Noto, c’è il Caffè Sicilia di Assenza, qui indicato con via e numero civico, senza infingimenti stavolta come fu per Alfio di Santo Stefano di Vanina. C’è la Banca Trinacria – omaggio a Sciascia – posizionata di fronte al Caffè Sicilia, dove davvero si trova la banca dei netini. C’è il Piano Alto, con il Cristo nella Chiesa. Ci sono le tante chiese che sorprendono Scipione, che pure alla numerosità delle chiese dovrebbe essere abituato, visto che è romano.
Anche il microcosmo che si stringe attorno al povero commissario allontanato proprio Natale da famiglia e amici inizia a delinearsi. Dal maresciallo Catalano, affettuoso e protettivo, a Corrado e Corradina, padroni della pensione che lo ospita in attesa della ristrutturazione dell’alloggio di servizio. Dal giovane rampollo nobiliare che lo inserisce nei circuiti giusti, al giudice Santamaria, siracusano e collega di università di Scipione, àncora di salvezza del deportato. Fino all’intelligente farmacista già citata che scommettiamo crescerà sempre di più nel cuore di Scipione e nella pagina di Cristina Cassar Scalia.

La scelta di collocare temporalmente la vicenda nel 1964, priva il Commissario di tanti strumenti tecnologici, cui la tv in diretta del pomeriggio italiano ci ha abituato, DNA, RIS di Parma, eccetera eccetera. Si torna all’indagine ragionata, con l’investigatore che si sposta fisicamente tra i luoghi e le persone, che deve mettere in relazione solo quello che riesce a osservare con i suoi sensi, senza protesi tecnologiche. Ellery Queen, Maigret, Colombo, tantissimi precedenti. Con questa costrizione di contesto, Cassar Scalia si permette di lasciare libero sfogo alla sua capacità letteraria che lettori e critici le riconoscono. Quella capacità di scrivere romanzi gialli che non risentono della limitazione di genere. Un giallo letterario anche questo. Un romanzo in cui l’indagine sui personaggi e sui contesti, e in cui l’indagine sui luoghi e sugli ambienti, portano alla costruzione letteraria appassionante e intrigante, al gusto pieno della lettura.
Tutto questo senza andare a discapito della tenuta del plot squisitamente noir. L’insolito delitto di benvenuto che accoglie il nuovo commissario genera una trama ricca di colpi di scena e che rinvia la soluzione fino alla fine, lasciando il lettore attaccato alla iniziale sensazione di inadeguatezza di Scipione, che, pian piano scopre di essere anche un buon poliziotto e di saper districare una matassa anche intricatissima come questa.

Anche, e soprattutto, in questo caso, la cura meticolosa per la ricostruzione degli ambienti in cui far muovere i personaggi che è propria di Cristina Cassar Scalia, ha trovato applicazione. Dalle canzoni che fanno da sottofondo ai momenti del romanzo, alle discipline e gli usi della Polizia di Stato, che nel 1964 era ancora un corpo militare, con gradi e regole da corpo militare. Fino alle auto utilizzate da personaggi e Polizia, che occupano un posto rilevante in questa narrazione.
Insomma non solo un delitto, ma un grande applauso di benvenuto al nuovo personaggio di Cristina Cassar Scalia.

A proposito di applausi, il vostro affezionato Gingolph è davvero un ragazzo fortunato. Il 13 giugno ho avuto la straordinaria opportunità di aprire le danze di A Tutto Volume – Festa del libro a Ragusa, proprio intervistando Cristina Cassar Scalia su questo romanzo.
Davanti a centinaia lettori appassionati e amanti dei suoi libri per più di un’ora abbiamo illustrato alcune caratteristiche di questa nuova operazione, che Cassar Scalia ha definito un film in bianco e nero.

Contraddicendo la sua reticenza proverbiale nella descrizione fisica dei personaggi, Cristina Cassar Scalia ci ha regalato una immagine folgorante di Scipione Macchiavelli: nella sua testa Scipione circola con le fattezze di Marcello Mastroianni, protagonista indiscusso di quel cinema in bianco e nero di cui fa idealmente parte questo romanzo.
Il pubblico è stato comunque rassicurato sul prossimo ritorno di Vanina su carta.
Sono arrivate anche domande dallo scelto pubblico, che ha poi affollato il generoso firmacopie dell’autrice, con contorno di immancabili selfie trofeo.

In tanta felicità personale e creativa per quello straordinario pomeriggio emerge un solo pesante rammarico.
Nella distribuzione dei nomi tra i personaggi, l’autrice ha assegnato al vice direttore della Banca Trinacria, protagonista diretta e indiretta delle vicenda del romanzo, il cognome Costa – il cognome di Gingolph, quando non è Gingolph. Poiché di quella banca nella realtà sono stato guida per alcuni felici e onorati anni, avevo interpretato questa scelta come un omaggio alla mia persona, come una promozione tra le figurine dell’album che conta nella storia di Noto. Un sorriso tanto affascinante quanto spietato di Cristina Cassar Scalia ha infranto i miei sogni negando decisamente quella intenzione e restituendomi ai leoni e agli infedeli della storia.

Sic transit gloria mundi.
