Per tutti i bambini italiani, Archimede è quel personaggio un po’ svitato, con una lampadina per amico, che custodisce i segreti della scienza e della tecnologia a Topolinia (anche se questo Archimede è anche Pitagorico).

Per noi siracusani, ancor prima che un ometto color bronzo reggesse uno specchietto, – triste, solitario y final – tra i due ponti che collegano l’isola alla terraferma, è una presenza costante. La mia scuola si chiamava Archimede, lavoro in piazza Archimede, in questi giorni sono in corso per il dodicesimo anno le Feste Archimedee (per tacer del blog Pitacorico cui siamo tutti legati da una filama di ironia necessaria). L’anno scorso interpretai il pensiero di Archimede al Simposio della Bellezza ad Agira. Anche quando mi spostai a Ragusa per lavoro, ho lavorato in via Archimede.
Proprio a una scrittrice ragusana, a una drammaturga, a una intellettuale ragusana si deve il tentativo di una ricostruzione teatrale della figura complessa del siracusano per antonomasia, del genio assoluto dell’antichità, a Costanza DiQuattro, che ieri sera, insieme alla compagnia che fa perno al sodale Mario Incudine, ne ha regalato l’anteprima assoluta alla città, nel Teatro Massimo della Città di Siracusa.

Archimede, la solitudine di un genio.
Sul palco insieme all’istrionico, al vulcanico, al canta e cunta storie, Mario Incudine, le musiche sostenute dalla fisarmonica, l’organetto e il tamburo di Antonio Vasta, e la spalla muta, ma essenziale, di Tommaso Garrè, incolpevole soldato romano, che si trova a compiere la missione più complessa della sua carriera militare: neutralizzare il genio siracusano, vantaggio competitivo intollerabile per gli alleati di Cartagine da sconfiggere.

Dietro il palco, o anche di lato, Alessio Pizzech per una regia essenziale dei movimenti dei due corpi sul palco, tra le scenografie anch’esse essenziali come i quadri che spalleggiano il cantastorie sulle strade e le piazze.
L’opera rappresenta le ultime ore di Archimede, catturato da un soldato romano, in cui il genio, come Sherazade, racconta storie della sua vita al soldato, nel vano tentativo di allontanare la sua esecuzione.

Tra racconti, sottolineati dalla musica, e contrappuntati dalla gestualità eloquente dell’oscuro soldato romano, e canzoni stentoreamente offerte al pubblico del teatro, alcuni degli episodi più noti della vita di Archimede vengono dispiegati sul palco.
Ne viene fuori una figura complessa.
Un pazzo che corre per la via ossessionato dalla ricerca della verità, che per inseguire quella verità dimentica la vita vera, quotidiana, di relazione.
Un innamorato della sua città, del suo mare, che contrappone alla Roma città del potere, Siracusa, la città del piacere, della gioia, del mito.
Uno scienziato che cerca di imbrigliare il tempo dentro una macchina che usi l’acqua per misurarlo, e che ne celebra la forza e il valore in una musette, vagamente parigina ante litteram.
Un incongruo personaggio controcorrente che, mentre marcia a passo di tamburo marziale, solo chiedendo dove stiamo andando, solo per la irrefrenabile voglia di chiedersi perché, mette in crisi la ferma vocazione alla guerra di Polibio.
Un consulente speciale di un Gerone irresistibilmente pitarro (Old syracusan style) che per sgamare un fraudolento orafo più bizantino che greco (sempre ante litteram, lo so), rinuncia a lavarsi per giorni, concentrato com’è, e quando la petulante compagna lo costringe al bagno fa la sua più rilevante scoperta che gli fa lanciare l’Eureka più noto della storia del mondo e gli consente di smascherare la truffa aurea.

Uno scienziato che si costringe a interrogarsi sulle conseguenze della sua scienza, anche se solo dopo che la sua scoperta ha generato una testa di orafo tagliata, o la morte di nemici abbattuti grazie alle sue macchine. La sua incrollabile curiosità intellettuale, la sua continua e costante ricerca del perché delle cose, lo spinge avanti verso il risultato. Dopo,solo dopo, si accorge che la sua scienza può avere un fine malevolo, può causare dolore e disgrazia.
Solo dopo la cruenta distruzione delle navi romane, ottenuta tramutando la vanità in vittoria, orchestrando una manovra convergente di cento donne che inclinando il loro specchio da trucco, ottengono quello che un intero esercito non avrebbe potuto ottenere, Archimede si fermerà. Solo dopo aver visto le fiamme divorare tanti ragazzi romani, sentirà lo scrupolo di Majorana (si, ante litteram, si), e aspetterà silente questo momento della cattura e della morte.
Dietro il genio e lo scienziato c’è un uomo. La sua genialità appone un peso ulteriore alla sua condizione umana: la solitudine.

Canta Archimede che senza l’amore l’uomo non respira. Inseguendo la sua brama di conoscenza verso la biblioteca più grande del mondo ad Alessandria, aveva trovato l’amore, quello che fa respirare e che blocca il respiro quando manca. Con la sua intelligenza aveva sedotto (anche se non avrebbe avuto questa necessità) una schiava che aveva comprato e aveva conosciuto il profumo del bene. Ma non riuscì neppure a compiere un anno di paradiso. La dolorosa nostalgia della città del mare, della Siracusa amata e mai dimenticata, lo riporta da Cleonice, la petulante, fredda e inospitale compagna della sua vita.
La mancanza di amore lo portò a rinunciare alla paternità, ma nei suoi ultimi anni, un bambino con i suoi occhi veniva a suppliziarlo nei sogni. Come la bambina sulla spiaggia che chiude La Dolce Vita di Fellini non riesce a dire a Guido il segreto rivelatore, così questo bambino sulla sabbia in riva al mare non riesce a svelare ad Archimede la verità.
Il genio, solo, rimugina su ciò che ha mancato, ciò che ha sbagliato, le priorità che non ha saputo stabilire e a quel punto il violento colpo di spada che lo porta dalla vita alla morte, che per il soldato romano aggiunge dolore e sconcerto al coinvolgimento emotivo in cui è caduto, per Archimede è solo una pura formalità.

Così, tra cunti e canti e movimenti di scena, Incudine giganteggia sul palco, facendoci rivivere la favola triste di un genio, irrimediabilmente e inevitabilmente solo, come tutti i geni, che ha pensato per noi la fervida vena creativa di Costanza DiQuattro.

