La bellezza. Sì. Proprio la bellezza – L’ira di Dio di Costanza DiQuattro – Baldini+Castoldi

A volte capita nella vita che un evento improvviso travolga tutto e metta a soqquadro ogni piega dell’anima. Quei terremoti fatti di coincidenze, di connessioni logiche imprevedibili, di colpevoli distrazioni, di innocenti sconfitte, di ostinazioni irredimibili.

Venerdì 1 marzo abbiamo parlato a Lentini di terremoti. Abbiamo ricordato quello di Santa Lucia che nel 1990 ha colpito duramente quel territorio. Ne abbiamo parlato in vario modo, abbiamo ricordato anche altri terremoti, ovviamente anche Il Terremoto, con la maiuscola, quello palingenetico della nostra Sicilia Orientale, il terremoto del 9-11 gennaio 1693.

Quando vivevo a Ragusa, una delle mie tappe preferite dei tour di accoglienza per amici e ospiti in visita era la Chiesa di Santa Maria delle Scale. La sua posizione, sulle scale appunto tra Ragusa e Ibla, offriva dallo spiazzo antistante la chiesa una meravigliosa vista di Ibla dall’alto. Proprio per questo fu set di almeno un paio di episodi diversi della serie tv del Commissario Montalbano, aggiungendo le sue scale, la sua facciata, e lo spiazzo, alla topografia della Vigata televisiva.

La chiesa di S. Maria delle Scale però ha altre peculiarità, che la rendono davvero unica. È detta anche Chiesa dei due volti. Infatti, l’attuale chiesa è stata ricostruita completando la chiesa pre barocca, che rimase incredibilmente in piedi nonostante la magnitudo sprigionata nel 1693.

Così oggi, se la guardiamo da un lato abbiamo una inestimabile traccia dell’arte precedente al barocco, con un importante fonte battesimale in pietra pece nera. Se la guardiamo girando lo sguardo di novanta gradi abbiamo una splendida chiesa barocca, testimonianza dell’ingegno resiliente che fece rinascere a nuova vita il sud est della Sicilia dopo la distruzione delle sue città e sessantamila morti.

Siccome tutto si tiene e qualche filamento sotterraneo lega tutti in una rete di casualità a volte sconcertanti, negli stessi giorni in cui lavoravamo alla preparazione dell’evento in memoria dei terremoti, sugli scaffali delle librerie è arrivato un nuovo libro di Costanza DiQuattro, L’ira di Dio, per i tipi di Baldini+Castoldi, proprio dedicato al terremoto del 1693.

Non solo perché è ambientato a Ibla nei giorni del terremoto, ma proprio per la narrazione, l’atmosfera del romanzo e la sua finalità, durante la lettura ho molto ripensato alla Chiesa dei due volti di Ragusa.

Costanza DiQuattro, con i suoi romanzi, uno dopo l’altro, sta ricostruendo un suo microcosmo letterario, la sua Macondo, dotandolo di storie, di lingua, di personaggi, luoghi. Più che Macondo però, la similitudine migliore è con la Vigata di Camilleri, con le sue storie di questo secolo e dei precedenti, con cui il Maestro ha inventato un mondo.

Non a caso il primo libro di DiQuattro racconta proprio di un luogo iconico della Vigata televisiva di Camilleri: la Casa di Montalbano di Marinella/PuntaSecca che per Costanza era la casa dei nonni.

In questo romanzo elabora una vicenda complessa e coinvolgente che prende luogo tra il dicembre 1692 e il gennaio 1693 e la squaderna tra le vie, le chiese e i palazzi della Ibla pre barocca. La vicenda lega nobili, Chiesa, popolo in un groviglio di sentimenti ed emozioni che vanno dal più irredimibile senso di colpa alla più solare speranza nel futuro. Un amore impossibile che nasce da due sconfitte e prosegue sotto le macerie del terremoto.

È un sogno a occhi aperti ripercorrere quelle vie di Ibla insieme ai personaggi di DiQuattro, provare a immaginare come poteva essere la cattedrale di San Giorgio e la sua piazza, ricordando l’antico portale laterale ancor oggi conservato come reliquia di un mondo e di un tempo. Provare a immaginare Gli Archi prima delle immagini attuali, La Chiesa della Madonna dell’Itria quando non ci passava la corriera per l’aeroporto che imbarca Livia verso Boccadasse. Il convento, le strade, il palazzo Arestia Corbara nella finzione, tutto incarnato dai materiali dell’epoca, il più caratteristico la pietra pece nera.

“Sulla pietra pece delle scale si vedevano parecchie impronte, come se fosse salita e ridiscesa della gente.”

Quel mondo che si credeva eterno e immutabile, protetto da Dio e dalla forza degli uomini, cede alla insensibile smania della terra, con il breve preavviso di una potente scossa giorno 9 gennaio e con la sentenza finale di giorno 11 gennaio, tradendo la sensazione di scampato pericolo che aveva raccolto tutti nelle chiese per ringraziamento e devozione.

“Poi, come un sogno di morte, pezzo dopo pezzo, pietra dopo pietra, l’imponente chiesa del santo patrono cominciò a sgretolarsi.”

“nel breve spazio di un miserere, Ibla aveva cessato di esistere.”

Il terremoto che scuote le case e le chiese, e annienta i più sfortunati, scuote anche i cuori e le anime di chi resta. L’umanità superstite si divide tra chi ritrova le radici della solidarietà umana e unisce le proprie mani alle altrui mani nello sforzo di salvare, sanare, fare rivivere, e chi si arrocca nella delusione, nella sconfitta, nel rancore, nella ricerca dei colpevoli, che spesso vengono individuati negli stessi che avrebbero dovuto usare le proprie ali per proteggere.

“Anzi, serpeggiava nell’aria un livido risentimento, come se ognuno avesse qualcosa da rimproverare all’altro. C’era un irrazionale bisogno di trovare una causa alla tragedia sebbene nessuna causa plausibile avrebbe potuto placare tanta morte e dolore.

La folla, che assisteva tutta intorno a quella aggressione solitaria come a uno spettacolo di piazza, era pervasa da sentimenti opposti.

C’era chi temeva per le sorti di quel giovane frate, senza altra colpa che essere lì ad aiutare, e c’era il coro dei livorosi, che il terremoto aveva trasformato in strenui anticlericali, convinti che in qualche modo il male fosse venuto loro tramite la religione e gli uomini di Chiesa.”

Il protagonista di questa storia è Bernardo, nobile ceduto alla Chiesa, riottoso e riluttante alle leggi del clero, che scopre nella purezza di un amore e di una nuova vita la via per la sua personale felicità.

“Io ho sentito di non essere solo in questo mondo soltanto dopo aver poggiato la mia mano, questa mano, sul ventre di una donna e avere sentito che dentro il suo corpo si cela il miracolo di una vita che si forma. Nella felicità ho trovato la luce, solo nella felicità e mai nella privazione.”

Lo scandalo lo circonda e lo assedia, ma lui insegue la sua hybris sentendosi onnipotente.

Anche questa è una situazione comune per queste spiagge. Non occorre ricordare il Padre Ralph di Uccelli di rovo, tanti prelati della nostra chiesa hanno subìto il fascino della vita, fino a lasciare la tunica tra i rovi.

Nel romanzo di Costanza DiQuattro la parabola della vicenda di Bernardo assume la dimensione paradigmatica dell’umanità travolta dall’ira di Dio. Le varie fasi della sua evoluzione sono le fasi dell’umanità che sbanda, scarta di lato, e poi trova nuovamente la via, quando deve superare il boato e lo sconquasso.

Anche la chiesa di cui è parroco Bernardo, la Chiesa della Madonna dell’Itria ha avuto lo stesso destino della Chiesa dei due volti. In parte ha resistito alla violenza della terra, in particolare il suo campanile colorato che si vede da ogni lato del panorama.

Ci carezza l’anima la pagina di DiQuattro che racconta della contraddittoria successione di emozioni che ci coglie, ci ha colto, quando dopo il disastro, il lutto, ci sembra di riassaporare il gusto della vita e ci sommerge la colpa di una disdicevole e immeritata serenità, se pur momentanea.

“Come poteva lui, a poche settimane da quella immane tragedia, gioire e amare. Come era riuscito il suo cuore maledettamente sano a continuare a battere e la sua anima a vivere. E come aveva fatto la sua mente, ormai dedita solo alla cura del dolore, a dimenticare, sebbene per un istante, lo strazio, il patimento, la fine”

In quel momento giunge dal Cielo, attraverso lo strumento di una voce, sia essa amica o sconosciuta, che ci ricorda che la vita è un dovere, una esigenza, un tributo a noi stessi e a chi ha ceduto, non ce l’ha fatta.

“E credi davvero che negarti alla luce, alla libertà di un sorriso, al desiderio di rinascita sia la giusta celebrazione dei tuoi morti? Si può continuare ad amare accettando la croce, camminare sopportando le spine, risalire senza disconoscere la caduta.”

Una corona di spine può essere il dress code per una festa, abbiamo imparato quest’anno da Angelina e Madame.

Costanza DiQuattro non racconta solo di Bernardo, se pur paradigmatico come abbiamo detto. racconta di una comunità, di una città che faticosamente deve rinascere, deve rivivere. Nel farlo con pochi brevi cenni riesce a darci conto di una condizione che si perpetua nei secoli, e che chi ha avuto la fortuna di nascere a Ragusa, o viverci soltanto, come è capitato a me, riconosce immediatamente. La frattura, a tratti insanabile, tra la Ragusa superiore e Ragusa Ibla. Frattura che neanche l’arroganza littoria del Pennavaria sanò con l’unificazione formale, finalizzata a scippare il capoluogo della istituenda provincia alla Modica della Contea.

“I San Giovannari avevano deciso di colonizzare l’altopiano creando altrove un loro spazio, dove avrebbero stabilito nuovi ruoli, cariche e gerarchie. I nostalgici San Giorgiari, invece, dopo anni di guerre fratricide avevano ottenuto l’autorizzazione per la tanto agognata ricostruzione in situ. Si profilavano due città distinte, con santi patroni diversi e ambizioni opposte.”

Sol chi cade può risorgere. E di questa risorgenza, racconta DiQuattro. L’uomo Bernardo, le altre donne e gli altri uomini superstiti, le città, le comunità, travolti dall’ira di Dio, non soccombono, ma faticosamente rinascono. Come ci ha insegnato quella travolgente valanga, quei tuoni, fulmini e saette che Dio con ira ha scagliato sulla nostra fetta di Sicilia. Può esistere il punto di svolta, il momento in cui la parabola cambia verso e direzione. Si può giungere “nell’istante esatto in cui il coraggio di rinascere supera il desiderio di morire”.

Il racconto di questa vicenda, umana e collettiva, ci spiega anche quale sia il fattore scatenante, l’elemento dirompente, che inverte la rotta e trasforma una disgrazia in una grande opportunità.

Come fu per Bernardo, come fu per i siciliani del 1693, la chiave della ripresa sta nella scoperta della bellezza. Si. Proprio la bellezza. La bellezza che nei luoghi, nei personaggi, nelle anime travolte e resilienti di questo romanzo ha dipinto con la sua penna Costanza DiQuattro.

Se vi è piaciuto seguitemi o ditelo ad altri

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *