L’ozio e l’affetto – L’uomo del Porto di Cristina Cassar Scalia – Torna Vanina Guarrasi

Tutti i sabati pomeriggio andavamo al paese dei miei nonni per il fine settimana. Non c’erano autostrade e la strada che facevamo passava dentro paesi e frazioni. La nostra macchina, non molto in forma, richiedeva alcune pause

Una di queste coincideva sempre con il bar di Navarria a Lentini. Di tutte le prelibatezze di Navarria mi era precluso solo l’arancino. Soffrivo spesso di “acetone”, una malattia infantile molto diffusa durante la mia infanzia, di cui non ho mai più sentito parlare, neanche durante la crescita dei miei figli.

Pizzette, cartocciate, iris, bignè, gelati, granite tutto era ristoro, meritata pausa di quel viaggio settimanale.

Più grande, molto più grande, andai a lavorare a Lentini. Di nuovo Navarria rappresentò il tempio del ristoro, della pausa lavorativa, della pausa mattutina con la granita e della pausa pranzo con tutte le sue ghiottonerie.

La pausa, come il cibo, non è solo sostentamento, è arricchimento, è tempo per la conoscenza e per la relazione.

La pausa è un valore in sé. La pausa non è vuoto.  La pausa anche in musica completa le note che la precedono e la seguono. La pausa è funzionale al ritmo, perché non diventi forsennatezza, sfrenato moto senza costrutto.

La pausa è il momento dell’ozio. Catoneggiano che l’ozio sia il padre dei vizi. Ma quando mai?

O Meliboee, deus nobis haec otia fecit.

Virgilio

La pausa è il momento dell’umorismo, del sorriso di Dio. La pausa è il momento dell’affetto, della cura, del piacere.

Come preannunciato nella precedente recensione di uno dei dodici candidati al Premio Strega, sentivo il bisogno di leggere qualcos’altro, prendermi appunto una pausa dalla dozzina stregata.

Fino a due anni fa quando sentivo questo bisogno di pausa, di ozio, di rigenerazione, avevo una soluzione sicura: una nuova avventura del Commissario Montalbano del Maestro Camilleri, ma ora a cosa rivolgermi?

Avevo scritto nel commiato con Riccardino che tra i tanti discepoli del Maestro si differenzia Cristina Cassar Scalia. Quasi magicamente, in coincidenza con la mia esigenza di pausa è uscito il nuovo romanzo con protagonista il vicequestore Vanina Guarrasi, L’uomo del porto.

Siccome credo alla potenza delle coincidenze mi sono fermato al suo bancone per la mia pausa di ristoro.

Sin dalle prime pagine si ritrova l’aroma ed il sapore delle vetrine ricche di leccornie, dolci o salate, tipiche di Savia a Catania o di Navarria a Lentini.

Questo cibo è la misura, la rappresentazione, dell’attenzione con cui i personaggi si prendono cura di loro stessi o degli altri personaggi. Costituisce la trama delle relazioni tra loro. Questa funzione del cibo, della sua qualità, quale trama della relazione umana, è molto siciliana, ed è molto Camilleriana.

Questa è la IV avventura del vicequestore Guarrasi. Ormai il cast lo conosciamo, ed è piacevole ritrovarsi in questa compagnia: Bettina, la vicina; il Commissario Patanè, pensionato renitente; Marta Bonazzoli, l’immigrata integrata; poliziotti, scientifica, magistrati, giornalisti, medici cinefili; giovani motociclisti tentatori; familiari naturali ed acquisiti; Alfio del bar (come Navarria di Lentini? – Uno dei personaggi specifici di questa avventura si chiama proprio Navarria, solo una coincidenza?)

Cassar Scalia muove questi pupi sul palcoscenico con ispirata leggerezza. Aleggia un umorismo rinfrancante, ristoratore. Situazioni e dialoghi scorrono lievi e accattivanti.

Il caso da risolvere anche questa volta è ben costruito. Lo sviluppo della vicenda e le progressive scoperte su fatti e personaggi sono credibili ed efficaci, ed al tempo stesso, ottimi pretesti funzionali per offrire ai personaggi del cast spunti ed occasioni per venire sul palco scena dopo scena.

Forse avevo particolarmente bisogno di questa pausa, ma in questa nuova avventura ho messo più attenzione. Ho cercato di leggere in profondità la trama di cui è intessuta. Credo di aver trovato la chiave della riuscita dell’operazione narrativa: l’affetto.

I personaggi del cast provano e dimostrano affetto tra loro. Sono tante le manifestazioni di affetto in questo romanzo, soprattutto verso Vanina, ma non solo.

Tutto questo affetto è il cuscino su cui ci poggiamo durante la lettura. Attraverso il cibo e i gesti affettuosi, a volte burberi, ma sempre affettuosi, l’affetto dell’autrice per i suoi personaggi arriva fino a noi. Ci rinfranca, ci ristora, ci fa stare bene.

L’autrice stessa alla fine del romanzo ci svela che questa avventura di Vanina l’ha voluta e vissuta come una pausa, come un ristoro. Un modo per uscire da questi mesi opprimenti di pandemia e tuffarsi nella Catania del 2016, teatro di questa storia. Dove ha portato tutti noi, con affetto

Ci voleva proprio questa pausa affettuosa con Cristina Cassar Scalia e Vanina Guarrasi!

Questa pausa con il vicequestore Guarrasi è piena, zeppa, rotonda. Ci colma un vuoto. 

E’ come la caramella Polo: “il buco con la menta intorno”.

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