Il Vajont di una donna – Cose che non si raccontano di Antonella Lattanzi – Einaudi

Un altro racconto rivelazione. Un’altra potente auto fiction.

L’anno scorso il Premio Strega fu vinto dalla dolorosissima e imprescindibile narrazione di Ada D’Adamo. Libro che ho amato e sofferto moltissimo, ma per il quale ho faticato a trovarne la dimensione di letteratura, di narrativa, perché troppo legato alla dimensione personale del vissuto della sfortunata autrice.

Quest’anno ci troviamo forse a fare il bis.

Nella dozzina stregata c’è anche il libro Cose che non si raccontano di Antonella Lattanzi edito da Einaudi. Ha tutte le carte in regola per proseguire il suo cammino nella prossima cinquina e persino vincere questa edizione del premio.

Antonella Lattanzi l’ho conosciuta nel settembre del 2021, in occasione della meritata conquista del Premio Vittorini di quell’anno con Questo giorno che incombe, Harper Collins. Leggere oggi di quale inferno fosse la sua vita in quei giorni mentre le parlavo e le facevo leggere la mia recensione, mi fa impressione e mi fa comprendere quanto fosse alta e invalicabile la sua diga.

Antonella Lattanzi in questo libro affronta la sua (mancata) maternità. racconta con dovizia di particolari il travagliatissimo (non vuole essere facilmente ironico l’uso di questo aggettivo) iter dei suoi tentativi di gravidanza, naturali e medicalmente assistiti.

Per tutto il libro ci racconta come abbia tenuto nascosto tutta questa vicenda dentro una insormontabile diga (che prevedeva pochissime eccezioni) che solo su queste pagine posteriori ai fatti tracima e diventa frana, valanga, Vajont.

La narrazione è emotiva. Alterna alcuni momenti di riassetto a beneficio del lettore (riassunti) ad altri momenti di playback diretto del flusso emotivo, una azione dal vivo delle emozioni come fosse registrata su nastro e risbobinata per noi.

La vicenda della PMA inevitabilmente si intreccia con la vicenda compositiva e distributiva del romanzo precedente, quello che vinse il Vittorini, che fu proposto allo Strega, ma non proseguì il suo cammino come sta accadendo a questo.

Ci sono dentro tutti gli elementi per ricostruire una figura complessa di donna, di scrittrice, di madre. Sì, di madre, perché questa componente della maternità, presente in forme diverse, anche opposte e contrastanti, in tutte le donne, emerge chiaramente. Ora in unisono con la scrittrice, ora in contrapposizione. Ora in sintonia con la donna, ora in contrasto con la donna. La componente madre ha sempre un ruolo nella vita di una donna, anche quando madre non lo diventa davvero, per scelta o necessità.

Ce lo spiega e racconta tanta letteratura, ce lo ha spiegato Lattanzi stessa nella madre in fuga dalla sua maternità di Questo giorno che incombe, ce lo chiarisce definitivamente con questo libro.

La protagonista, Antonella – Toni, come preferisce lei – dalle pagine emerge rotonda e piena, un personaggio vivido, contraddittorio, ma splendente. Ne condividiamo asprezze, timori, sensi di colpa, crudeltà. Non si nasconde Lattanzi, anzi sembra si accanisca contro se stessa. Sembra dipingersi peggio di quella che è.

Gli altri personaggi non hanno la stessa pienezza. Vivono nel suo riflesso, nelle interazioni con lei. Anche di Andrea, il compagno, ci sfugge la reale dimensione. A volte vorremmo fermare la frana, il Vajont che travolge Toni, per chiedere, per capire.

Qua e là rimbalza dalle pagine qualche forma di recriminazione per certe forme di sanità sbrigativa, livorosa e vendicativa. Una sanità moralista e bigotta che condanna aprioristicamente queste “patologie” come giusta mercede per la donna empia che pretende di esercitare i suoi diritti di scelta. In questi tempi di revisionismo verso il basso e verso il passato dei diritti, forse Lattanzi avrebbe potuto calcare di più la mano, mostrare di più quanto male possono fare certe posizioni che si dicono “di coscienza”.

Le qualità di scrittrice di Lattanzi non sono in discussione. Nonostante la materia sia incandescente, soprattutto per lei, riesce a dare ordine e canalizzazione a questo traboccare del dolore indicibile, quello che non si racconta, oltre la diga che per quaranta anni aveva retto a ogni sollecitazione.

Il lettore si trova pagina dopo pagina a remare contro la valanga, ad attraversare questo Vajont di una donna, lasciandosi passare addosso tutta la gamma di emozioni vissute e rivissute nel raccontarle. Superata la valanga non saremo uguali. Troppe cose ci hanno colpito, straziato, legato ad Antonella. Abbiamo imparato troppe cose a sue spese, sulla donna, sulla scrittrice, sulla madre per poterci dimenticare di questa lettura.

Auguriamo, quindi, a Lattanzi che questo libro prosegua la sua avventura stregata, fino anche al massimo traguardo. Vorrà dire che anche quest’anno la dimensione personale dell’autofiction avrà preso il sopravvento.

Ce ne faremo definitivamente una ragione.

Se vi è piaciuto seguitemi o ditelo ad altri

2 pensieri su “Il Vajont di una donna – Cose che non si raccontano di Antonella Lattanzi – Einaudi

  1. Non conosco la Lattanzi come scrittrice… Mi è morto l’ unico figlio a ventotto anni… Forse anche per questa dolorosa esperienza, tendo a tenermi un po’ alla larga da romanzi troppo personali e dai loro Vajont…
    Ma non per questo desidero leggere solo dei LIETI FINE. No, anzi.
    Amo i perdenti, gli utopisti, le lotte ciniche, spesso inconsapevoli, che l’uomo affronta smarrito, senza risoluzioni… Fra non molto affronterò per la quarta volta la lettura di VERGOGNA un romanzo di Coetzee, scrittore sud africano, premio Nobel. Un romanzo fra i più belli che ho mai letto.
    Nella vita di questo professore universitario c’è la sconfitta totale.
    Narrata senza piagnistei, lucidamente, quasi con cinismo.
    Ma dalle pagine del romanzo c’è una sofferenza trattenuta, che esce fuori e ci sommerge. Non il Vajont, ma la vita di un uomo, di un perdente, che in quanto tale, non si ribella, non si straccia le vesti, ma subisce rassegnato fino in fondo il proprio destino…
    Affascinante. Non una parola mai di troppo… Avvincente. Perfino commovente nella predestinazione dei cani abbandonati… Grande Coetzee…

    1. Il tuo dolore è talmente indicibile che non si può raccontare, che, addirittura, non si può nominare. Non esiste un nome, come orfano o vedovo.
      Il tuo Vajont sarebbe comunque una valanga di maternità.
      Con estrema delicatezza e pudore, e paura di far male non dirò più nulla su questo.
      Mi è piaciuto molto Vergogna, peccato averlo letto quando non avevo questo blog. Chissà dove sono finite le note di lettura.
      Spero che tornerai a leggere le mie noterelle.

      Buona lettura.

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