Lo sapete com’è fatto Emanuele Trevi – La Casa Del Mago di Emanuele Trevi – Ponte alle Grazie

Mio padre non era un mago. Non lo era né nel senso letterale, né nel senso figurato (mica tanto) che prova a ricostruire Emanuele Trevi nel suo ultimo libro, La Casa del Mago, Ponte alle Grazie, selezionato per il Premio Campiello.

Inoltre troppo presto ha separato i suoi passi dai miei lasciandomi pochi ricordi su cui operare una ricostruzione così minuziosa e selvaggia.

Eppure.

Eppure conservo gelosamente quella sensazione di quel pomeriggio di tanti anni fa, quando, finalmente autonomo, andai a visitare il paese di papà, aggrappato alla sua collina, con la piazza che dal Re era passata alla Repubblica, dove in un lungo carnevale, i paesani ballano fino a stancarsi, fino al comparire del sole, onorando il santo del ballo, Vito, patrono di quel paese.

Sentivo di camminare accanto a lui, sentivo di attraversare le stesse intersezioni di mattonelle che aveva attraversato lui. Mi sforzavo di annusare, di ascoltare, di recuperare tra gli interstizi del tempo, tracce del suo passaggio. Qualche richiamo agli amici, una accelerazione per raggiungere quella ragazza, un imprevisto stop del passo con gli amici per raccontare la parte più succosa di un pettegolezzo, o di una vanteria.

Una goccia di sudore caduta dalla fronte imperlata dall’ultima rumba.

Guardavo in faccia uomini e donne che mi sembravano più o meno suoi coetanei, per scrutare una loro anche minima reazione guardandomi, un alone, una somiglianza, il riaffiorare di un ricordo, qualcosa nei miei occhi, nei miei passi, nel mio modo di occupare lo spazio che potesse rammentare un amico passato, un amore rimpianto, una opportunità non colta.

È destino degli orfani rincorrere fantasmi di vita negli oggetti, nei luoghi, nelle altre persone, in cui si specchiano quale simulacro altrui.

Trevi ha sviluppato una sua particolare modalità di scrittura, di narrativa che si muove lungo il crinale tra vita e morte, o meglio tra vivi e morti.

Lo ha fatto già con il padre, il noto psicanalista junghiano Mario Trevi, il Mago anche di questa cueva. Lo ha fatto con il Poeta del secolo. Lo ha fatto nel meritatissimo Strega 2021, Due vite.

Proprio in Due vite teorizzò la potenza evocativa della scrittura:

“…la scrittura è un mezzo singolarmente buono per evocare i morti, e consiglio a chiunque abbia nostalgia di qualcuno di fare lo stesso: non pensarlo ma scriverne, accorgendosi ben presto che il morto è attirato dalla scrittura, trova sempre un suo modo inaspettato per affiorare nelle parole che scriviamo di lui, e si manifesta di sua propria volontà, non siamo noi che pensiamo a lui, è proprio lui una buona volta.”

Non occorre essere junghiani, inoltre, per capire che questo tipo di ricerca, di evocazione, cela malamente la necessità di ritrovare in noi quelle tracce, di ritrovare la nostra via, la nostra strada, nei passi dimenticati altrui.

Così Emanuele va in cerca di Mario, si rincantuccia dentro la sua casa, la sua grotta, attraversa stazioni di un viaggio peregrino, si accompagna a donne improbabili, la Degenerata e Paradisa. Crea un’altra figura femminile evocata come la Visitatrice. Tutto questo per comprendere di quale intreccio sia fatta la trama della sua anima. Per comprendere quanto Emanuele sia Mario e quanto Emanuele sia Emanuele.

Il realismo magico, la commedia umana, la ricerca filosofica e umanistica, il saggio rivestito di narrativa, sono alcuni dei registri che Trevi alterna con maestria in questa nuova telemachia che ci regala.

Come ogni bravo dissimulatore che abbia padronanza delle parole, Emanuele Trevi finge di cedere alla moda del secolo, all’auto fiction.

Ma in questo zucchero Trevi Poppins nasconde la pillola della conoscenza, della ricerca, dell’indagine esistenziale di cui si sostanzia la buona letteratura, la letteratura che ci attraversa, che, subdola, entra in circolo nelle nostre vene.

Se vi state chiedendo se si tratta di un romanzo, sì di un romanzo si tratta, e anche di un saggio psicanalitico, e anche di una biografia esistenziale, e anche di uno spaccato di storia artistica e intellettuale di questo Paese, con tanti insospettabili personaggi come Manganelli, Natalia Aspesi, Jung, la incredibile Miss Frank Miller, a raccontarci come siamo arrivati fin qui.

Ricostruendo queste vite, Trevi rivela una caratteristica costitutiva degli artisti raccontati.

“Simpatici o antipatici, futuristi o passatisti, maschi o femmine, figurativi o cubisti… tutti gli artisti, alla fine della fiera, hanno un motore identico: vogliono essere amati, e pretendono di rimediare con il loro talento al pozzo senza fondo del bisogno – perché l’amore non basta mai a nessuno. E questo li rende fragili, poco padroni di sé stessi, come se un pezzo del loro cuore battesse sempre nel petto di qualche sconosciuto”

Una caratteristica che ritroviamo in tutti gli esseri umani, la voglia di essere amati.

In questo romanzo, inoltre, si coglie la straordinaria importanza delle parole. Le parole, pietre. Le parole lucidate con pazienza, sfregate, sfregate, ridotte all’essenza, al loro fulgore intrinseco naturale, altrimenti nascosto dal tempo e dalla polvere, prima che lo scrittore le affronti con le varie grane di carta vetrata a disposizione. Sfregare, sfregare, sfregare come Mario faceva con i sassi che trovava e raccoglieva, per lucidarli, con pazienza, con determinazione, con ostinazione.

“Perché le parole sono identiche ai ciottoli di mio padre, non possiedono nessuna qualità evidente, non sono né brutte né belle, si confondono tra milioni di altre ugualmente opache e usurate. L’inerzia delle parole è la mancanza di significato. Tutto sta nello sfregarle, e poi sfregarle ancora, e ancora – rasentando la demenza. E quando le cose non vanno, e passo un pomeriggio intero di fronte al dannato schermo del pc a scrivere una frase per poi cancellarla, e le ore passano, e diventa palese che non era giornata, alla fine è lui che mi viene in mente, con i suoi rettangoli di carta vetrata – grana grossa, grana media, grana fine. Che altro potrei fare? Ricomincio a sfregare.”

Ecco che Emanuele Trevi alla fine ce lo ha spiegato cosa unisce e lega Emanuele e Mario. La cura ostinata, la determinazione maniacale, la biblica pazienza con cui entrambi sfregano, per dare loro lucentezza e splendore, le pietre e le parole. Per trovare la forza di curare le anime rotte, spezzate, deviate, come la letteratura e la psicanalisi osano fare.

Non ve lo aspettavate vero, di trovarci dentro tutto questo, quando avete cominciato a leggere il libro?

Ma Emanuele Trevi è così. Lo sapete come è fatto.

Se vi è piaciuto seguitemi o ditelo ad altri

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *