Morsi cu morsi – Itria di e con Aurora Miriam Scala – 29 novembre 2024 Teatro Massimo Città di Siracusa

Sono cresciuto in una famiglia che amava la musica, i libri, il cinema e il teatro. Sono cresciuto in una famiglia che non si preoccupava di farmi andare a letto presto la sera. Sono cresciuto in una famiglia che mi portava con sé ai concerti, al cinema e al teatro.

Quando ero bambino e poi ragazzo il Teatro offriva anche delle proposte che raccontavano i fatti e le storie che non trovavano spazio adeguato sui giornali e sui settimanali. Proposte che offrivano letture approfondite di quei fatti e delle storie, che offrivano plastiche ricostruzioni, che offrivano costruzioni di emozioni che rafforzavano nella memoria principi e valori, che davano substrato all’etica e ai convincimenti politici (nel senso più alto del termine, non faziosi) che il complesso dell’educazione familiare e scolastica apparecchiava per noi che attraversavamo quegli anni complessi e sfidanti.

Lo chiamavamo Teatro Civile.

Quest’anno al Teatro Massimo Città di Siracusa, a latere rispetto ai cartelloni principali, ci riprovano a proporre alcune scelte che si possono riassumere nella definizione di Teatro Civile.

Ieri sera abbiamo cominciato con una proposta che si incastra perfettamente in tutto quello che abbiamo chiamato così.

Aurora Miriam Scala ha ascoltato, ha elaborato, ha scritto, ha trasformato in rappresentazione teatrale e, infine, ha incarnato sulla scena una storia incredibile, una storia che ha fatto la nostra Storia, una storia come tante, una storia sbagliata, come direbbe De André, a cui ha dato il titolo di Itria.

Una storia avvenuta il 2 dicembre 1968 lungo la nostra SS 115, la strada che da Siracusa, passa per Agrigento e raggiunge Trapani, costeggiando la costa sud est della Sicilia. 

Una storia passata alla Storia come I Fatti di Avola.

I fatti.

Stanchi di sfruttamento e discriminazioni, i braccianti agricoli della provincia sud di Siracusa hanno avviato una serie di battaglie rivendicative di condizioni salariali e di lavoro migliori.

Decidono di attirare l’attenzione e organizzano un pacifico blocco stradale sulla SS115 al km 115.

La Celere (così si chiamava allora) attacca i manifestanti con fumogeni e sparando con proiettili non a salve ad altezza d’uomo. 

Il bollettino conta due morti e decine di feriti.

La verità ufficiale non ha mai accertato le responsabilità di chi ha sparato, non ha mai riconosciuto lo status di vittime ai due morti e alle loro famiglie.

Lo Statuto dei Lavoratori di Gino Giugni (la legge 300 del 1970) vedrà la luce solo a maggio, quasi diciotto mesi dopo i Fatti di Avola, probabilmente sull’onda anche di quei Fatti.

Aurora Miriam Scala ha ascoltato i racconti di Itria, la moglie di Giuseppe Scibilia, vittima insieme ad Angelo Sigona dei Fatti di Avola. Ha ascoltato i racconti della figlia di Scibilia e ne ha tratto una piece teatrale di grande impatto emotivo.

Una scena vuota riempita solo da una sedia di quelle ordinarie di legno e saggina che stavano e stanno in tante cucine popolari. Da quella sedia si diparte una rete appesa al nulla in forma di minaccioso volatile con ampie ali che accoglierà più volte l’attrice che da sola incarna la storia di Itria Scibilia, vedova di Peppu’.

Aurora occupa la scena in maniera corporea e proprio carnale dal primo all’ultimo momento dell’opera.

Assume nelle sue gambe, nelle sue braccia, nel suo viso, nella sua voce la funzione di raccontare i quadri da cantastorie che compongono la storia dei Fatti di Avola, vista da casa Scibilia.

La successione dei quadri si apre e si chiude con un alto riferimento alla tradizione popolare che dà subito la dimensione di tragedia, ‘u repitu, quel lamento con cui le donne accompagnavano il morto a lasciare la casa e la famiglia (perché la morte va lamentata, va pianta, va repitiata…).

Aurora Miriam Scala racconta della gioia dei preparativi per il matrimonio, che nella tradizione del tempo sembra quasi da considerarsi “misto”, visto che Itria è di origini più elevate geograficamente: è palazzolisa, mentre Peppu’ è avulisi.

Racconta della gioia dei figli che arricchiscono la famiglia.

Racconta del disagio delle condizioni di lavoro, della condivisione della lotta e degli obiettivi della lotta.

Poi si trasforma.

Con la voce spezzata e mitragliata, e scandita come gli spari, con la scarpa destra che ribatte sui legni del palco a riprodurre le bombe e gli spari, con le urla, con le maschere delle espressioni della paura, dell’incredulità, incarnate dal volto, porta la tragedia al centro del palco e nelle ossa e nei nervi di tutti gli spettatori.

Ancora scossi dall’aver assistito, senza averlo visto, al momento in cui si è smarrita la dimensione democratica, civile, umana delle relazioni tra cittadini, delle relazioni tra cittadini, lavoratori e forze dell’ordine, Aurora Miriam Scala ci accompagna nella via crucis che è seguita per la famiglia di Itria, tre figli cresciuti senza nessun aiuto dallo Stato che le aveva travolto la vita. Giustizia denegata, abbandono totale. D’altronde Scibilia comunista era, perciò se l’è cercata.

Intorno alla presenza scenica importante di Aurora, sulla scena rimbalzano voci, musiche, suoni e rumori a dare tridimensionalità alle scene. La radio che racconta il tempo che scorre intorno, e che racconta il tempo della tragedia.

Spicca una Virrinedda di Rosa Balistreri per i tempi della speranza e dell’amore nascente.

Si ritaglia uno spazio preminente la scelta di Sentimento di Patty Pravo che torna due volte a sottolineare che nulla potrà spezzare il legame di amore e di condivisione che sopravvive alla violenza di Stato.

Va sottolineata in maniera particolare questa scelta musicale. Sentimento nasce come lato b di un 45 giri di successo Gli occhi dell’amore, sempre di Franco Migliacci. Sarà la canzone scelta da Patty Pravo per la sua partecipazione alla Canzonissima proprio del 1968. Non verrà mai inclusa in alcun album, non verrà più ripresa dalla stessa Patty Pravo, che nello stesso anno rilascerà La Bambola e Tripoli 1969, che saranno due suoi cavalli di battaglia imponenti.

A queste scelte che riesumano vecchie canzoni dimenticate, ridando loro vita e senso nuovo legandole a immagini nuove, a fatti diversi, ci ha abituato Paolo Sorrentino, con Nada, in The Pope, o con Cocciante in Parthenope

Lo stesso effetto riesce ad Aurora Miriam Scala che ha imposto nuovamente agli spettatori di ieri sera quel brano e quel Sentimento, che, ascoltato la sera di sabato in tv, ancora riecheggiava nelle orecchie e nel cuore di Itria quel lunedì 2 dicembre, mentre vagava per Avola verso l’Ospedale Di Maria, chiedendo invano come fu, chi fu…

Un sentimento che non muore

Perché è l'ultima cosa che ho

Quando un altro ti pensa

Il sole è più è grande e più caldo ti dà

E batte, batte forte il cuore

E magari incomincia così

Come un giorno di sole

Fa dire a dicembre l'estate è già qui

Ad assistere alla rappresentazione di ieri sera non c’era il teatro pieno, ma era presente uno scelto pubblico che ha salutato la fine dell’opera alzandosi in piedi e tributando un lungo applauso alle vittime dei Fatti di Avola e alla scrittrice, drammaturga e interprete Aurora Miriam Scala che ha coraggiosamente portato sulla scena questo lavoro.

Una sola rappresentazione era prevista e quindi non posso invitarvi a vederla oggi o domani, ma posso invitarvi a non perdere le prossime proposte di questo speciale cartellone.

Consola la circostanza che giovedì e venerdì mattina le poltrone e i palchi del Teatro Massimo si sono riempite di studenti delle scuole superiori che hanno potuto assistere allo spettacolo, conoscere un fatto di storia che nessuno racconta, aggiungere un tassello alla formazione della loro coscienza civile attraverso il confronto con l’esperienza del teatro, che fu per me alimento essenziale nella mia adolescenza.

Bentornato Teatro Civile!

Foto per gentile concessione di Stefano Buda

Se vi è piaciuto seguitemi o ditelo ad altri

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *