La Musica Oriunda – Il Sabir – Mediterranima di Stefano Saletti – Materiali Sonori

Mio papà diceva sempre: chi è ricco di amici è scarso di guai. E non si sbagliava.

Il mio amico Carmelo, giornalista irrequieto, che non riesce a lasciar perdere le sue intuizioni e insegue caparbio le sue suggestioni, mi ha coinvolto nella realizzazione di una conferenza controcorrente. Mentre tutto il mondo sembra ostinato a trovare motivi di divisione e fare incrociare urla rauche e botti di armi, mi ha chiesto di presentare insieme a lui una lingua popolare, una lingua franca, una lingua che per almeno sei o sette secoli ha permesso alle genti dei porti del Mediterraneo di capirsi, di concludere affari, di comunicare, di spiegarsi, di affratellarsi. Il Sabir.

Mentre i potenti delle case regnanti mandavano eserciti a spostare i confini, gli umili, gli schiavi, i servi, i mercanti, i marinai, pure i pirati, si intendevano tra loro, a dispetto di chi regnasse sulle loro teste e sulle loro terre.

La serata è stata impreziosita da un altro amico, Don Andrea, il parroco di San Gaetano, la parrocchia di PortoPalo di Capo Passero. Don Andrea ha cantato una antichissima versione del Padre Nostro in Sabir aggiungendo una musica originale sua ai versi della preghiera che Carmelo aveva sentito a Mazara del Vallo, contributo che vi riporto in dono qui.

Mentre studiavamo testi e materiali per preparare la conferenza, mi sono imbattuto nella produzione artistica di Stefano Saletti, che nelle varie sue articolazioni, Banda Ikona su tutte, ha dato al Sabir una nuova vita e dignità musicale.

Addirittura una settimana prima della conferenza ha pubblicato un nuovo imperdibile disco con Materiali Sonori, Mediterranima. Nove brani in sabir, chiamando a raccolta numerosi artisti dalla comprovata e ostinata sensibilità mediterranea.

Il pensiero magico che accompagna i popoli con la testa nel vento e stregata dal sale sgombra subito dal campo l’ipotesi che sia una semplice coincidenza.

L’occasione di sentire cantare questa suggestiva lingua Sabir smuove dentro di me corde ancestrali che aspettavano di essere toccate.

Stefano Saletti è un polistrumentista e cantante, oltre che autore dei testi e delle musiche. Se passando per la chitarra, varie percussioni, fino al bouzouki parliamo di strumenti ancora conosciuti, oud, saz baglama, tzouras, saltzouki, suonano già esotici e intriganti solo nei nomi e promettono sfumature e risonanze da esplorare.

Il primo brano è già un omaggio (sobrio, ovviamente) alla ricorrenza del 25 aprile, il giorno in cui Saletti ha deciso di rendere pubblico il disco, Resistar.

Fazir non star a vivir da bestià

ma per seguir virtute y conoscir

Resistàr

Restar

Amar

Conoscir semenza di voi

Per questo Ulisse al contrario che ribalta la tensione dantesca verso il viaggio e la scoperta, nella resistenza, nella restanza, nell’amore per la propria terra, per il proprio mare, per il proprio popolo, Saletti si affida alla voce di Ginevra Di Marco e alla fisarmonica di Antonello Salis, puntellati dal sax di Gabriele Coen

Una trascinante Bella Ciao ante litteram che invita a restare, a difendere, a resistere.

Il secondo brano, O Pireas, è una straniante ossessiva e ritmica ode al porto, alla zona della città in cui questa lingua era padrona. Sembra di sentire il vento del porto che porta richiami e delusioni e rilancia promesse che non saranno mai mantenute. La voce è della sodale di Saletti nella banda Ikona, Yasemin Sannino. Gabriele Coen affida al clarinetto i suoi contrappunti. Ma è la straordinaria capacità di realizzare fotogrammi cinematografici accarezzando i tasti del pianoforte di Rita Marcotulli che ci porta sulle banchine di questo pireo per attendere un arrivo o salutare una partenza.

Marjan, il terzo brano di questo disco, è una preghiera di ringraziamento alla dea madre che protegge e cura, una Madonna dal nome arabo di corallo. Una dea madre che libera dal malo, che fazir piovèr, da ringraziare per il grano, che protegge la nostra mano che andar cercar. La voce che prega è di Elena Ledda, mentre stavolta è l’organetto di Riccardo Tesi a sostenere la preghiera.

Il quarto brano è ancora affidato a Yasemin Sannino, Y suzar la nochè. E torna anche il piano di Rita Marcotulli. Una notte travagliata, sudata, difficile. Una notte da sola come capita spesso alle donne di chi va per mare. Una nottata che addà passa’.

Mi vestir di perla y fugir la vida

Y fugir la vida con ti

La quinta canzone è una travolgente taranta. Mujalasa. Ritorna la fisarmonica di Antonello Salis, la voce che scandisce la filastrocca è di Fabia Salvucci. Gabriele Coen riprende il clarinetto e si può sentire pure il marranzano di Nando Citarella. Voci, urla, risate a gola piena, una festa nel porto. Si canta, si balla, si ama intorno a un fuoco che allontana la notte.

Mare chiamar nave andar

Fiamma bruciar nochè durar

Genti cantar y tutto amar

A terra ballar vita cambiar

La canzone che dà il titolo all’album è la sesta, Mediterranima. Ancora il marranzano di Nando Citarella e il clarinetto di Coen. Ritorna l’organetto di Riccardo Tesi. La voce solista è una nostra vecchia conoscenza, Eleonora Bordonaro. Introdotta da una nenia in arabo recitata da Marwa, la canzone si dipana come una ninna nanna

dormir dormir figlia bella

que la historia a returnar ancor più bella

dormir dormir figlia mi

nessun lupo ti portar fora de qui

Ma appena la bimba chiude gli occhi la ninna nanna si trasforma nella disperata coscienza del dolore e della violenza di una condizione intollerabile, che fa perdere l’anima, che fa perdere la vita. 

Una canzone completamente mediterranea, emblematicamente mediterranea, che solca il mare da costa a costa a cercare fortuna, a trovare dolore.

Alma mater que terra tocar

muchacho per mano tenir

que mostrar la via de andar

il filo infinito de strada seguir

vita star lungo tela de lana

que passar mare deserto y dolor

serrar la corda y serrar el cuore

que ti podir implorar

La voce di Gabriella Aiello, anche lei già Banda Ikona, recita la preghiera della settima canzone, Il filo infinito. Struggente nell’alternanza della preghiera popolare, impastata di vento e sale, di sabbia e dolore, e della preghiera solenne, latina, istituzionale, ma sempre implorante, sempre in cerca di rifugio e protezione. Un filo infinito tra terra e cielo, tra mare e deserto.

Salterello de lu core, con la voce di Lucilla Gaelazzi e ancora la fisarmonica di Salis ci prepara alla conclusione di questo viaggio lungo le sponde del Mare Nostrum. L’antico ballo da corteggiamento in questa versione che innesta sulla tradizionale successione di versi e di ritmi saltati fino allo sfinimento, echi di suoni esotici e nuovi, ci porta al brano conclusivo dell’album.

L’album si conclude con un canto struggente e ipnotico d’amore, ancora affidato alla voce di Yasemin Sannino. Al di là del cielo e della terra. Una promessa eterna, imperitura.

Y andar al di là del syelo e de la terra

Questo navigare sulle onde del Mediterraneo della sua anima, della Mediterranima, risuona dentro di me, mi suggerisce memorie non mie, mi sollecita a scavare a cercare ancora dentro di me.

Mia nonna paterna alle domande che già da bambino mi venivano da dentro irrefrenabili sulle radici, sulle origini di questo cognome, bagnato dal mare, mi rispondeva sempre che veniva dalla Spagna o dal Portogallo. Apparteneva a navigatori, a cercatori, forse a pirati. Una traslitterazione da Questadores.

Ho cercato di sfruttare tutti gli strumenti che la tecnologia mette a disposizione per ricostruire senza errore il filo infinito che potrebbe collegarmi genealogicamente ai presunti questadores. Non sono riuscito a chiudere il cerchio. Negli ultimi tre secoli i Costa da cui discendo sono stati falegnami stanziali di un paese in bassa collina del centro della Sicilia. Con una sola eccezione rilevante. L’ultimo capostipite che sono riuscito a collegare, nella seconda metà del Seicento, viene dalla penisola iberica in questo paesino collinare della Sicilia, al suo sorgere, probabilmente al seguito di qualche abate, proprio a insegnare l’arte ebanista e prestare la sua opera alle nuove abbazie da costruire, intorno alle quali si fonda il paese. Si chiama Vito, il suo cognome è Da Costa, l’ultimo figlio nato qui perde il Da e rimane Costa nei registri parrocchiali, cognome che senza altre mutazioni (e senza interruzioni) arriva fino ai miei figli.

Senza bisogno di scomodare la psicogenealogia e in attesa di leggere il libro di Valeria Curzio che ci spiega l’eco degli antenati nelle nostre vite, sento che gli echi di questa lingua franca, i lemmi e i suoni arrotati dei suoi verbi all’infinito, il riverbero del Sabir dentro di me può derivare da questa origine che ha solcato il mare, dai lombi di qualche famiglia di pirati che poi ha deciso di stabilirsi e lavorare il legno. 

Accompagnata dai suoni che si ritrovano in questo curioso e intrigante disco di Saletti, nonché nella struggente ed emozionante preghiera cantata da Don Andrea, la musicalità di questa lingua, la musicalità del Sabir, si disvela come la vera Musica Oriunda che papà mi insegnò a cercare e che sto ancora cercando.

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