La grazia dove meno te l’aspetti – Stupidistan di Stefano Amato – Marcos y Marcos

Già tanto prima che le mie (FAT)tezze potessero essere suscettibili di body shaming, avevo capito quanta grazia sprigionassero i movimenti, le espressioni, i gesti di Oliver Hardy, Ollio, a dispetto della sua mole.

Abbiamo tutti sorriso istintivamente, fanciullescamente, al balletto improvvisato più noto della loro cinematografia.

Da bambini ci colpiva la pronuncia maldestra e sdrucciola della parola stupìdo, con l’accento sulla i, anziché sulla u. E’ rimasto un suono iconico che al solo riascoltarlo ci riporta a quella grazia, a quel genio che Stan Laurel e Oliver Hardy ci hanno regalato.

Pirandello ci ha spiegato la radice dell’umorismo, che risiede nella poetica del rovescio, del contrario. Già la semplice inversione di un accento ci solletica la corda dell’umorismo.

La stupidità umana è una caratteristica che attraversa il tempo e costituisce una delle ossature portanti di quella che chiamiamo umanità. Ad uno degli storici economici più importanti della nostra accademia dobbiamo il trattato che ne definisce leggi e regole fondamentali, attraverso le quali possiamo identificare la categoria dello stupido (con l’accento giusto) negli umani che ci circondano (e, perché no, anche in noi stessi). Lo trovate nel libretto Allegro, ma non troppo di Carlo Maria Cipolla, edito da Il Mulino.

A differenza di Fruttero e Lucentini e del loro prevalente cretino, Carlo M. Cipolla introduce l’elemento qualificante dell’autolesionismo dello stupido. Lo stupido ci crea danno, senza trarne in realtà alcun vantaggio. L’essenza della stupidità è negativa senza riscatto. Una maledizione per l’umanità, la sua componente irredimibile.

Questa estate ho già avuto occasione di confrontarmi con un pamphlet paradossale, sulla scia dell’eredità pesante ed ingombrante di Swift, Lo Scarafaggio di Ian Mc Ewan (ne ho parlato qui). Ma i tempi devono essere molto amari ed un altro pamphlet paradossale ha incrociato il mio cammino, Stupidistan di Stefano Amato, edito da Marcos y Marcos.

Se Mc Ewan ha espresso tutta la sua indignazione nei confronti della Brexit e dei suoi concittadini affascinati da essa, Stefano Amato rivolge il suo sguardo polemico ai suoi concittadini senza una particolare occasione pubblica o istituzionale, ma proprio nella loro essenza, nella loro peculiare dimensione esistenziale. Come a interrogarsi con un doloroso e profondo “ma perché sono così?”. Un cui prodest senza risposta.

Prima di leggere questo libro ho immaginato che potesse risolversi in una elencazione di luoghi comuni circa la nostra autolesionista stupidità, disposti a caso lungo una trama pretesto, senza costrutto ed alla fine un mero esercizio sapido e umoristico, ma fine a se stesso.

I miei pregiudizi sono stati presto superati dalla lettura del romanzo. Il romanzo ha una trama ben delineata. Le sapidezze sulla stupidità sono incastonate come perle in un bracciale d’oro ben tornito. Ha un suo dinamismo, anche suspence, come nella partita della vita di Patty. I personaggi si muovono coerenti e credibili nella loro distopicità.

Questo non priva il romanzo delle intuizioni geniali che descrivono i suoi (i miei…) concittadini. 

L’abitudine di chiamare gli abitanti di questa isola sfortunata, Stupìdi, da cui Stupìdistan, come con disprezzo è nota l’isola di questa dimensione. Evidente omaggio a quella grazia con cui abbiamo aperto queste note.

Una accurata selezione antroponomastica, innanzitutto. Tic, manie, abitudini, slogan rappresentano la Cirasa (the new Vigata?) e tutta l’isola di questi decenni.

Il ribaltamento (ed il contro ribaltamento) dello slogan “Uniti si vince”, che si presta ad ogni uso o necessità. La deriva tecnologica del folblet. La programmazione televisiva deteriore. Il potere, la musica, il cibo, la spazzatura. Tutti elementi genialmente inventati per descrivere un mondo che non c’è (sicuri?).

La presenza di una storia, il doversi concentrare sulle evoluzioni della trama, permette all’autore di sfuggire al rischio mortale di queste operazioni: il moralismo. Non si percepisce superiorità morale, non si percepisce disprezzo.

Casualmente ho intrecciato la lettura di questo romanzo con la lettura del breviario di umanità di Gianrico Carofiglio, Della gentilezza e del coraggio. Ho avuto come la sensazione che quelle indicazioni fossero note a Patty e a tutti quelli che vogliono provare ad abbattere il cartello Stupìdistan all’ingresso del porto di attracco sull’isola. Se una prospettiva finale del romanzo deve tendere ad una visione diversa, occorre tornare a  credere negli esseri umani, come Carofiglio prova ad insegnarci e come in fondo Stefano Amato, anche in questo caso fa. 

In questo sta la grazia che non ti aspettavi di trovare in questo libro, ma che c’è e ci lascia qualcosa dentro, una spinta, uno stimolo, forse, che dobbiamo provare a non lasciare decadere.

Questo romanzo è una vera distopìa? Estremizza situazioni in nuce per indicarcene la pericolosità? E’ un’avvertimento da seguire come le indicazioni di un Comitato Tecnico Scientifico per prevenire la diffusione del virus della stupidità?

No, purtroppo. Nelle sue descrizioni a volte si percepisce una tenerezza, una indulgenza, che ci farebbero indignare ancora di più, se non avessimo letto Carofiglio.

Con questo romanzo Stefano Amato parla alla nostra umanità, a tutti noi, di noi, non degli altri. Non ci sta raccontando quanto sono beceri e stupìdi i nostri concittadini e noi possiamo darci manate sulle spalle e riderne con lui a crepapelle. Sta raccontando di tutti noi, si. 

Di me, di voi, di te. 

Si di te che stai leggendo queste note.

Si tu, proprio tu. 

Ohu, tu! 

Ma chi minghia guaddi?

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