Una lanterna cinese che sciaccarìa – Fase Zero di Emiliano Colomasi – Scatole Parlanti

Quando ero bambino due attori, peraltro molto bravi, del Teatro Stabile di Catania, Tuccio Musumeci e Pippo Pattavina, registrarono alcuni 45 giri con le vicende di Don Peppino. L’uso del dialetto come deformazione grottesca del parlare quotidiano, sgrammaticato ma fonetico, risultava esilarante e rideva sarcasticamente dei vezzi e dei comportamenti di chi li ascoltava.

Tra matrimonio della figlia, Ajtina, serate al nighiticlubb, viaggi di nozze improbabili, le vicende di Don Peppino diventarono un microcosmo che frequentavo quasi quotidianamente, che imparai a memoria, che recitavo agli amici di mamma e papà con gran divertimento.

Quella stessa forza sarcastica, satirica nel senso più classico del termine, ho ritrovato nel blog di Archimete Pitacorico, “talmente provinciale da diventare universale”. Appuntamento costante con il riso amaro di questa nostra amata 

“città bellissima, senza piano regolatore, senza servizi e senza speranze, una città che annaspa, sfruttando in maniera intensiva le bellezze naturali e architettoniche lasciategli da un passato glorioso”.

Poi arrivò il malefico morbo incoronato. Tutto intorno a noi cambiò improvvisamente. Abitudini, usi, voglie e desideri si infransero contro il muro del lockdown. Archimete rimase una delle poche cose certe su cui contare. Un appuntamento con questo sguardo traverso sulla città e sui suoi cittadini, le loro frasi grottesche, le contraddizioni, gli abusi, gli eccessi, i personaggi. Comparve il nanno col giubbotto blu, a comandare questa contradanza della pandemia.

Le avventure del nanno oggi sono un libro, Fase Zero, che Emiliano Colomasi (Archimete) ha pubblicato con Scatole parlanti.

Un libro che è racconto, testimonianza, graffito e palinsesto di cosa è stata per noi la prima ondata, il primo lockdown, senza sapere se avrebbe avuto senso coltivare una speranza, quando non avevamo quasi nessuna contezza di cosa ci stesse accadendo.

Rileggere queste vicende è un’occasione importante di rispecchiamento,per ritrovare le atmosfere vissute un anno e mezzo fa. 

La spesa al supermercato, come una spedizione in Vietnam (e senza andare a Roma Nord).

La petizione e le denunce, grottesche già in partenza, senza bisogno della penna satirica di Emiliano.

Le rinunce e l’osservanza delle regole, contrapposte alla selvaggia tracotanza di chi di tutto questo trova sempre come approfittare.

Ma Emiliano ci racconta che non è un frutto perverso della condizione estrema in cui ci siamo trovati. Al capitolo 10 si cimenta nel gioco infantile del celo mimanca, ed elenca tutto quello che il lockdown gli ha tolto e che gli manca. Ne viene fuori una elencazione annichilente di soprusi, di arbitrii, di tristi figuri, di disperanti approfittatori. Un elenco greve, sordido, che neanche la sua costante leggerezza nel narrare risolleva.

Gli ospedali erano già indecorosi anche prima.

La Pasquetta era anche prima la manifestazione becera di abusi alimentari tanto goderecci, quanto ferini.

La risata di Emiliano è uno schiaffo che ci colpisce in pieno tutti, anche se continuiamo a ridere e far finta che non parli di noi.

Qua e là fa capolino la sua bellissima famiglia, la piccola Bruna, Donatella, paziente e indulgente, i quattro nonni soggiogati. La forza ed il respiro di cui Emiliano si alimenta e con cui costruisce la sua resilienza, e che gli consentono questo sguardo obliquo, che tanto ci diverte.

Bisogna ormai prendere atto che questa martoriata città sta diventando un circolo letterario di tutto rispetto. Oltre alle tante scrittrici e scrittori che producono letteratura di gran livello, si può enucleare una Scuola Siracusana di scrittori obliqui, come ci fu quella genovese dei cantautori. Una scuola che sembra non prendere sul serio nulla, ma, nel frattempo, scava cunicoli tra i palazzi e sotto le strade e innesca mine per una rivoluzione strisciante velleitaria, ma insistente.

Stefano Amato e la sua distopia del Siracusanistan

Mario Fillioley e le sue evoluzioni sulla scuola e sull’amore, tragicomiche realtà quotidiane, dal respiro universale.

Emiliano Colomasi e le sue analisi linguistiche e sociologiche ai margini ed al centro di questa città.

Il nanno con il giubbotto blu, alter ego maturo, disincantato e più evoluto, di Archimete, una sua proiezione quasi, ha le idee chiare. Si rende conto di quale sarà l’esito e la prospettiva del repentino improvvido recupero della “normalità” dopo il lockdown. E compie l’unica scelta possibile per lui.

Emiliano ne raccoglie l’eredità più vera e concluderà questa vicenda con un perentorio “SUCA” che si leverà alto nel cielo, lasciando segno di sé a lungo come una di quelle lanterne cinesi che a Ferla sciaccarìarono la notte di Pasqua, quando il balcone di casa era il confine massimo raggiungibile.

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