La storia della TV italiana è anche un po’ la storia del costume degli italiani – Marginalissime noterelle semiserie di un anziano con punte di nostalgia e di irritazione istituzionale

Chissà forse ci stiamo abituando.

Anche queste Feste di Natale sono passate con pochi incontri, rinviando appuntamenti, sfuggendo ad occasioni.

Di nuovo abbiamo cercato nelle piattaforme streaming intrattenimento, memoria e consolazione.

In queste vacanze ho ricercato e rivisto volentieri su RaiPlay quel magnifico programma di varietà anomalo ed innovativo che fu Non Stop. Le due stagioni 1977 e 1978 governate e dirette da Enzo Trapani, colpevolmente un po’ dimenticato.

Quella sarabanda di musica e comicità, senza conduttore, senza regole, affidata a giovani emergenti forse poteva aversi soltanto in quella stagione Rai.

E’ stata l’occasione per rivedere gli esordi della Smorfia di Troisi, Arena e De Caro, per rendermi conto di quanto intelligente fosse quell’opera di decostruzione, demistificazione e rifondazione dei miti della napoletanità.

E’ stata l’occasione per rivedere i Gatti di Vicolo Miracoli, Jerry Calà, Umberto Smaila, Salerno, e Oppini, per rendermi conto della portata della loro comicità surreale, della pienezza di riferimenti culturali, storici e politici che sosteneva quelle gag. Impensabili oggi se guardiamo alla parabola di Calà e, soprattutto, di Smaila.

Piuttosto ripensando che in quei tempi io ancora non ero uscito dalle scuole medie, mi sono chiesto se la mia passione per i Gatti e La Smorfia, fosse pienamente consapevole, oppure fosse limitata all’immediatezza degli effetti comici, senza coglierne le strutture e sovrastrutture umoristiche e culturali. Oppure forse già allora avevo qualche discrasia con la mia età (come vedremo più avanti)

Un altro comico emergente che ho rivisto con curiosità è stato Renato 33, che iniziava sempre i suoi monologhi riferendo che suo babbo desiderava una femminuccia, sua mamma un maschietto, è nato lui e li ha accontentati entrambi. Ricordo ancora con tenerezza mia mamma che cercava di raccontare questo incipit, e si divertiva così tanto che non riusciva a finirlo, soffocandolo nelle sue stesse risate.

Gli sketches di Renato 33 erano arcizeppi di moine, ammiccamenti, mossettine e frocerie varie, che a rivederle oggi, con la consapevolezza maturata, mi sono risultati pesanti e irritanti. Oggi neanche a Pio e Amedeo sarebbero consentiti quegli sberleffi, quei lazzi, grevi e volgari.

Eppure erano gli anni di Amanda Lear e della sua ambiguità sessuale, e di Maurizio Costanzo che la contrappose ad un integerrimo ed offeso magistrato in una indimenticabile puntata di Bontà Loro.

Quarantacinque anni non sono passati invano. 

Oggi le personalità transgender acquisiscono sempre maggiore dignità, almeno in tv. 

Penso a Manila Gorio, che con grande naturalezza è diventata anchorwoman politica di prima serata per una importante televisione pugliese.

Penso a Conchita Wurst all’Eurovision 2014. 

Penso alla scelta di affidare la co-conduzione di una serata del Sanremo prossimo venturo a Drusilla Foer.

Faticosamente, ma inesorabilmente il costume degli italiani evolve, almeno in tv. Pillon se ne dovrà fare una ragione.

E’ stata l’occasione per risentire la voce di Paolo Zavallone (El Pasador) che cantava Amada mia, Amore mio, con quell’andamento Disco Dance, che tanto piaceva ai miei genitori, che si scatenavano nelle danze ad ogni occasione possibile (era sempre Carnevale per loro), Asha Puthli, Matia Bazar, Stefania Rotolo (altra colpevolmente dimenticata), e, soprattutto (per me ed i miei genitori ovviamente) Les Chocolat’s.

Les Chocolat’s furono un pilastro delle serate da ballo del gruppo dei miei genitori. La valigia dei dischi (molti 45 giri e pochi 33 giri) che girava di casa in casa, di sala in sala, era la nostra. Tra i 33 giri spiccavano i tre dischi proprio dei Les Chocolat’s. I loro medley facevano da binario agli scombinati trenini danzanti che si snodavano per sale, corridoi e altre stanze attigue.

Io avevo circa 12 o 13 anni, ed anche se in pista c’erano tante cugine o figlie di amici, imparai presto a mascherare la mia timidezza con la versatilità da DJ. D’altronde i dischi erano i miei, il giradischi ed altoparlanti spesso anche, quindi il piacere di guidare la serata, alternando e miscelando ritmi latini, disco dance e liscio più classico, non me lo poteva togliere nessuno (e così non ero costretto a ballare e vergognarmi)

I titolari della ditta Les Chocolat’s erano due  italo francesi, con un repertorio di rivisitazione in chiave latino americana di canzoni francesi e non solo. Capelloni e con i pantaloni a zampa d’elefante, ballavano un po’ goffamente, ma tanto non li guardava nessuno, perché erano attorniati da cinque o sei ballerine di colore, molto svestite e sensuali, che riempivano gli occhi ed i sensi di tutti gli spettatori (non solo quelli maschi). 

Decisamente in televisione non erano più i tempi di Abbe Lane, quando era ancora cantante e moglie del direttore dell’orchestra di ritmi latino americani Xavier Cugat, altro 33 giri che spiccava nella nostra valigia. Quando Abbe Lane appariva in tv (con o senza l’immancabile chihuahua) veniva inquadrata sempre da sopra la vita in su per evitare che il mambo o la rumba del suo bacino turbassero i telespettatori italiani.

A Les Chocolat’s è legato un curioso ricordo che testimonia della grande apertura dei miei genitori, nei temi del costume, dell’educazione, della morale. 

Fin dalla più tenera età i miei genitori mi hanno sempre permesso di restare con loro davanti alla tv anche molto dopo Carosello, mi hanno portato al cinema, a teatro, a ballare, anche se gli orari fossero antelucani. Tante volte ho visto sorgere il sole dalle finestre della sala dove i miei genitori ed i loro amici si sfrenavano nelle danze, mentre io selezionavo per loro i dischi.

Durante il Carnevale 1978 al McIntosh di Catania c’era una importantissima serata da ballo, con la partecipazione di nientepopodimenoche Les Chocolat’s. Nonostante le aperture del Secondo Canale Rai di quegli anni, le ballerine di colore del gruppo francese negli spettacoli dal vivo erano ancora più svestite ed ancora più sensuali. L’ingresso era rigorosamente vietato ai minori di diciotto anni.

Ovviamente i miei genitori non ci pensavano proprio a lasciarmi a casa, o a rinunciare alla serata tanto attesa. Con guizzo pronto, con la velocità di esecuzione che tanto piaceva ai goliardi di Amici Miei, arrivati al botteghino, appena la maschera si interpose tra me e l’ingresso al peccaminoso spettacolo, mio padre gli si avvicinò confidente ed amichevole e gli raccontò che ero la sua disgrazia più grande. Aveva speso tanti soldi in medicine, e medici, anche all’estero, ma niente. La crescita si era fermata ed invece di vent’anni ne dimostravo meno di quattordici. Mentre condividevano questo dispiacere, mia madre mi prese per mano ed entrai con lei raggiungendo i divanetti più prossimi all’arena dove si sarebbero esibite Les Chocolat’s. 

Per la cronaca fu una serata bellissima e Les Chocolat’s erano davvero nude, quasi integralmente, e sensuali, oltre ogni immaginazione.

Quando nella notte lo spettacolo finì ed uscimmo dal locale, con gli altri amici facemmo carovana e raggiungemmo un pecoraro in campagna per la consueta colazione a base di ricotta calda, dopo le danze.

Come abbiamo visto oggi faticosamente il costume degli italiani evolve, le tematiche cisgender e transgender ci costringono a guardare con occhi meno velati alla realtà, come facevano con me i miei genitori.

Da Abbe Lane a Les Chocolat’s, da Renato 33 a Drusilla Foer, misuriamo spazi di libertà e di civiltà conquistati. 

L’Italia si dimostra tutto sommato pronta e più avanzata della sua classe politica, che ha concentrato la sua arretratezza sul Dl Zan.

E questa classe politica non si smentisce.

Nonostante il tempo passato e le evoluzioni compiute dalle famiglie italiane e dalla Tv, siamo qui a discutere dell’elezione di Silvio Berlusconi alla più alta carica dello Stato.

O tempora, o mores

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2 pensieri su “La storia della TV italiana è anche un po’ la storia del costume degli italiani – Marginalissime noterelle semiserie di un anziano con punte di nostalgia e di irritazione istituzionale

  1. Solo un appunto il comico che tu chiami renato 33 era in realtà ernst thole ( che oltretutto non era neanche gay ma interpretava il ruolo della “checca” in un modo cosi marcato e divertente che oggi lo fucilerebbero! Sarà x questo che oggi nessun comico televisivo fa più ridere ? Un saluto.

    1. Grazie. Hai ragione. La mia memoria mi ha tradito. Con il tuo commento rendiamo onore e merito al comico.
      Grazie ancora.

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