In questo blog la recensione più visualizzata rimane sempre quella di Cambiare l’acqua ai fiori di Valerie Perrin, ma proprio un multiplo di volte rispetto alla seconda più visualizzata.
È sicuramente un effetto collaterale e irrilevante della grande popolarità che ha avuto quel romanzo, soprattutto durante la pandemia.
Popolarità enorme, ma controversa. Sui social e ovunque si fronteggiavano due eserciti un contro l’altro armati che sostenevano la grandiosità del romanzo oppure la sua irrimediabile insignificanza.
Quella popolarità rilanciò il primo romanzo della Perrin e creò l’attesa per il terzo. Tutti recensiti qui, se vi interessa.
Da un paio di settimane è arrivato anche in Italia il quarto romanzo di Valerie Perrin, Tatà, sempre E/O edizioni. Non potevo farmelo scappare.
Precisiamo subito che il traduttore ha spiegato che nella versione italiana il titolo ha un accento in più per distinguere il nomignolo affettuoso che in Francia si usa per significare zietta, dal nostro sostantivo che indica la governante.
Infatti di una zia si parla in questo romanzo, di una zia che, dopo essere morta, improvvisamente ri-muore, muore di nuovo, svelando che non era morta davvero la prima volta.
Da questo spunto lievemente ironico come il Mattia/Adriano di Luigi Pirandello comincia un sontuoso romanzo che incrocia in maniera enciclopedica tante storie, che si intersecano nel tempo e nello spazio.
Prometto di astenermi dal far riferimento alle tante vicende, agli snodi, agli incroci, alle intersezioni tra le vite dei personaggi che riempiono le tante pagine di questo romanzo. Scoprirle pagina dopo pagina queste storie e già più di metà del piacere di questa lettura. Non intendo sottrarre ad alcuno questo piacere.
Per gli amanti della prosa di Valerie Perrin confermo che ci ritroviamo il cimitero, vero e proprio luogo romanzesco, con la gioia di esserci, la dolcezza di esserci, il rapporto a distanza tra le generazioni, la casa di riposo per anziani, storie profonde di importante amicizia, la musica popolare francese con i suoi versi citati ad hoc nelle varie situazioni (anche di questo romanzo si potrà creare la playlist per accompagnarne la lettura, come avvenne per Cambiare l’acqua ai fiori).
Ci troviamo acuti e colti riferimenti alla musica colta classica, alla particolare traccia di divinità che alcuni artisti lasciano sullo strumento che usano.
Ci troviamo la difficoltà del rapporto con i genitori, la difficoltà di affrontarne la perdita o la mancanza.
I tanti fantasmi che ci accompagnano nelle nostre giornate.
Ci troviamo una maggiore attenzione al cinema. Anzi un numero di rimandi incrociati tra cinema e canzoni. Con tantissimi archetipi propriamente cinematografici. Valerie Perrin non dimentica di essere fotografa di scena, non dimentica di vivere a fianco del cinema di Lelouch, e ci regala pagine in cui racconta film classici del cinema francese ed europeo con arguzia e delicatezza, che ci fanno venire voglia di rivederli sugli schermi, altre pagine in cui racconta film inventati che ci fanno venire voglia davvero di vederli sugli schermi.
Addirittura tra un capitolo e l’altro compare una vera e propria sceneggiatura di un film in formazione.
Qui Valerie Perrin ci svela una sua idea di romanzo, di romanzo e di film. Entrambi nascono da una sceneggiatura. Dal linguaggio scelto per svilupparlo dipenderà se diventerà film o romanzo.
Perrin scrive romanzi come film, anzi come fotoromanzi, con le pagine che fotografano personaggi e situazioni, svolte, vicende, snodi, scoperte, sorprese, fanno ridere, sorridere, piangere. Ogni pagina una foto.
Per certi tratti si innervano anche delle caratteristiche noir, gialle diremmo noi. Con ampia e ripetuta citazione del 36 di Quai des Orfevres, con l’esplicito riferimento a Louis Jovet, l’ispettore Antoine di Legittima Difesa, l’indimenticato capolavoro di Clouzot.
Si intrecciano temi rilevanti come la pedofilia, la maternità, la violenza di genere, l’amore, la fine dell’amore, la nascita dell’amore, le varie forme di amore che riempiono la vita.
Di ogni personaggio si racconta la storia con dovizia di particolari, tanto da far dubitare che ci sia una protagonista soltanto.
Chi è il personaggio principale del romanzo?
Potrebbe essere Colette, la zia (la Tata), che merita il titolo, e per assonanza con Violette?
Potrebbe essere Agnes, la nipote da cui passano tutti i fili di tutta la trama complessa?
Potrebbe essere Hanna, la madre di Agnes e cognata di Colette?
Potrebbe essere Blanche, la misteriosa Blanche?
La protagonista è la Vita, in tutte le sue complicate, disordinate relazioni che intrecciano le nostre singole vite.
La protagonista è la nostra pretesa di sapere tutto delle persone che ci circondano, che viene smentita in ogni pagina.
La protagonista è la sincerità delle emozioni che talvolta riusciamo a infondere nelle complicate e disordinate relazioni che dicevamo.
Questo è un romanzo popolare, che racconta storie di persone, vite di provincia che cercano disperatamente di darsi un senso, contro ogni inciampo, ogni condizione che si impone a limitarle, a distrarle, a deviarle.
Un romanzo popolare come una squadra di calcio di provincia che regala allegria e sogni, delusioni e rabbie, ai cittadini e ai tifosi.
Come ho scritto per Cambiare l’acqua ai fiori, Tatà forse non è un capolavoro che cambierà la storia della letteratura francese o europea (anche se comunque i romanzi di Perrin i premi, anche prestigiosi, li vincono), ma sicuramente la penna di Valerie Perrin ha quella straordinaria capacità di generare storie avvincenti, intriganti, che toccano nodi emozionali, che fanno vibrare corde, che spingono il lettore a perdersi in questo fiume di sensazioni, a ridere, a piangere, a ricordare, a immaginare, in profondità, proprio dentro l’anima.
Anzi questa capacità di smuovere corde emozionali che tendiamo a ignorare, probabilmente sta alla base della reazione, a volte esageratamente furiosa, scomposta, dei detrattori.
Proprio come in un fotoromanzo d’altri tempi, proprio come in un film appassionante, proprio come in una serie tv di successo.
Feuilletton? Fumettoni? Forse.
Ma anche noi che idolatriamo De André, che ascoltiamo musica di nicchia, jazz e autori importanti, amiamo lasciarci andare a cantare Rossetto e caffè.
Così, senza cercare il nuovo Joyce, o Stendhal, amiamo perderci tra le storie e le emozioni dei personaggi di Tatà e degli altri libri di Valerie Perrin, diventando per qualche giorno cittadini della Borgogna francese.
Non è questa una delle funzioni della letteratura?
Fotoromanzo, definizione più esatta non si poteva dare a questo libro. Fotoromanzo per me nella accezione negativa, di superficiale. Piace a tutti, è avvincente, scritto bene, tante pagine e nessuna difficoltà a scorrerle. Tutto vero. Ma a me non ha lasciato niente se non la sensazione di giornate cupe nella vita di tutti i suoi personaggi, tutte storie diversamente tristi.
Grazie per aver dedicato del tempo alla mia recensione.
Semel in anno licet legere fotoromanzi 🤓