“Questa è la storia di un padre e di un madre”.
Sembra di sentirla e vederla Maria De Filippi durante la lettura di questo “romanzo”, segnalato al Premio Strega 2025.

Ovviamente non conosco le vicende familiari di Andrea Bajani e, quindi, non posso certificare che si tratti di auto fiction, ma della moda imperante narrativa di questi anni ha tutte le caratteristiche.
Andrea, raggiunto e scovato da Marcello o qualche altro postino di Maria, dopo aver proclamato alla fine della consegna: “C’è posta per te”, ha accettato l’invito e si è seduto sugli strapuntini azzurri davanti alla busta.

Dopo aver ascoltato Maria che peripateticamente racconta la vittimistica e rancorosa richiesta del padre, accompagnata dal silenzio inespressivo della madre, Andrea immagina di essere seduto sullo scomodissimo posto dell’ingrato, accanto a lui l’incolpevole ex moglie, accusata dal padre di avergli rubato il figlio (con tutto quello che questo può significare nelle dimensione magico vendicativa del padre).
Anche se non conoscesse la liturgia del programma, l’istinto gli suggerirebbe di chiedere a Maria:
“Posso sapere cosa ti hanno raccontato?”
Andrea sa che deve riequilibrare la sua posizione, il pubblico rumoreggia, Maria giudica e censura. Ecco l’idea. La soluzione preventiva.

Scrive poco più di cento pagine per spiegare, giustificare, legittimare la sua scelta di dieci anni prima di tagliare i ponti con genitori e sorella e rifugiarsi nelle famiglie occasionali (il lato umano del capitalismo, dice lui stesso) di pizzerie, botteghe e pasticcerie di cui è cliente affezionato.

Intendiamoci, le cento pagine sono ben scritte, incalzanti, il quadro complessivo della famiglia, e dei suoi componenti emerge con progressivo dettaglio e precisione.
Bajani sa descrivere bene il cuore della sua famiglia sventurata.
“Questo, in generale, credo fu uno dei grandi fraintendimenti tra i miei genitori: lui voleva che lei fosse niente per potere, lui, essere qualcosa, e lei voleva essere niente perché essere niente era almeno qualcosa. Il che forse più che un fraintendimento fu, in qualche maniera, un patto mai espresso, il loro segreto. Il risultato fu che lei si annullò per davvero, e che lui, con quel niente seduto sul divano, impilò astio, disprezzo e disperazione allo stesso modo in cui settimana dopo settimana si impilavano sul tavolo le parole crociate, che sarebbero poi finite dentro il secchio dell’immondizia.”
Si accanisce sulla resa della madre, sulla sue rinunce, tutte votate a prevenire, a troncare, a sopire. Non ha alcun intento di offrirle una via di riscatto, un guizzo di dignità, come invece fa la sorella, ignorata troppo velocemente nei suoi racconti. La descrive. Implicitamente quasi la ringrazia, per avergli risparmiato parte dei tanti mal di pancia che comunque lo hanno accompagnato dall’infanzia alla maturità, nonostante l’analisi.
Riassume tutta la sua vita, anche gli anni in cui la geografia si frappone non casualmente tra lui e i genitori, in una infelicità senza autostima.
Non ci sarà un gran recupero di autostima, né di felicità, ma i dieci anni di cesura volontaria e definitiva, che qui festeggia, gli hanno restituito la vita.

Può anche sforzarsi di comprendere ora che il motore di tutta la catastrofe distruttiva, pervicacemente distruttiva, che si srotolava sotto i piedi suoi e della sua famiglia, nasceva da un’incompreso, non riconosciuto, bisogno d’amore che costringeva il padre a reazioni sempre più distruttive.
“Il fraintendimento nasceva proprio lì. In un cortocircuito insondabile generato nei labirinti della psiche, attraverso la violenza mio padre pretendeva amore. Era disposto, come extrema ratio, a menare le mani, fare del male ai propri familiari, danneggiare oggetti, persino a rischiare la prigione, pur di ricevere amore in contraccambio. La violenza era il mezzo, quando ogni altro mezzo si era rivelato fallimentare, per procacciarsi qualche manifestazione di affetto, anche se insincera. Dunque si faceva temere, odiare, detestare, come risposta immediata alla sua domanda, o pretesa, d’amore.”

Questo libro è stato proposto alla giuria del Premio Strega 2025 da Emanuele Trevi con questa motivazione:
«È una storia eccezionale, quella di Bajani, che infrange un vero e proprio tabù: nelle prime pagine del libro incontriamo il protagonista che ci racconta dell’ultima volta che ha visto i suoi genitori, prima di voltare le spalle per sempre alla sua famiglia, disgregata dalla violenza del padre-padrone e dalla muta, disperata sottomissione della madre. Per delineare un’immagine credibile di questo inferno domestico e della fuga senza ritorno del protagonista, il narratore ricorre alle risorse del romanzo per mettere ordine nei dati dell’esperienza, spiccando quel salto mortale capace di condurlo dall’informità del “reale” alla consistenza e alla leggibilità del “vero”. Ed è solo così che una vicenda singola si trasforma in uno specchio in cui tutti i lettori possono intravedere qualcosa che non conoscevano direttamente, eppure li riguarda. L’anniversario è un romanzo avvincente e originalissimo, che colpisce chi legge come un pugno nella testa e nella pancia. Bajani non sente il bisogno né di condannare, né di perdonare, e ci racconta quanto sia impervia e necessaria la via del riscatto.»
Davvero più volte l’autore spiega che questo è un romanzo, che certe cose se le permette perché è un romanzo. Ma proprio queste spiegazioni non petite, manifestano che il libro non matura mai in romanzo vero.
Non ce ne voglia Trevi, ma la lettura di questo libro opera sì, la trasfigurazione dal reale al vero, ma non diventa letteratura, non ne acquista la forza, non ne assume la forma. Noi lettori ci troviamo spunti e appigli per riconoscerci e riconoscere volti, pene, e situazioni che abbiamo vissuto e conosciuto. Ma come avviene il sabato davanti alla tv.
Resta davvero un tentativo di difesa, la ricerca dell’assenso di almeno una parte del pubblico (televisivo) dei lettori.
Bajani prova soltanto a chiudere la busta senza il biasimo di Maria e dei suoi affezionati telespettatori.

Una cara amica che lo ha letto prima di me ha concluso che, in fin dei conti, questo libro potrebbe riuscire dove Franchini non riuscì, e portarsi avanti nello Strega, e, perché no, vincerlo.
Se accadesse, vorrebbe dire che il macrocosmo De Filippi avrebbe in qualche modo occupato un’altra casella importante del mondo culturale e dell’intrattenimento italiano di questi anni.
