Ma chi ti ha dato la patente? – Nel transito del nulla di Dionisio Mollica – Apalós edizioni

Quando da bambino ridevo a crepapelle con Franco e Ciccio al cinema vedendo uno dei più di cento film della coppia palermitana: Ma chi ti ha dato la patente?, regia di Nando Cicero; oppure, quando, seduto accanto alla mamma, seguivo appassionato le sue lezioni di teoria di scuola guida tra segnali stradali e incroci e precedenze, non avrei mai pensato che stavo contribuendo alla mia formazione filosofica e morale, forse anche religiosa.

Infatti, ogni nuova filosofia, ogni nuova religione sceglie un testo fondamentale su cui basare l’impianto dottrinale di pensiero di riferimento per gli adepti.

Dionisio Mollica ha scelto per Vangelo, Corano o Talmud della sua filosofia, nientemeno che il Codice della Strada.

Immediatamente vengono alla mente, per noi della generazione che ha conosciuto Carosello, le pagine di quei libroni con le immagini colorate (che io ricordo a sfondo rosa, proprio a causa della mia partecipazione prescolare alle lezioni della mamma) con i segnali stradali e le vignette che riproducevano ipotetici casi di precedenze complesse tra veicoli da risolvere, che hanno accompagnato le settimane prima degli esami di teoria per la patente.

Infatti, mai avrei pensato che dietro quei triangoli o cerchi rossi con sfondo bianco e immagine nera stilizzata dentro, potesse vibrare una intera costruzione filosofica, una visione del mondo, una prospettiva di riflessione e introspezione, a tratti irresistibile.

Eppure in questo lavoro di Dioniso Mollica, Nel transito del Nulla, edito da Apalós, una lingua ricercata e piena di sinestesie opera davvero una ricostruzione semiologica di un modo di pensare e un modo di vivere, di un modo di andare e camminare, portando per il mondo un paio di “scarpe addolorate”.

Un testo coranico, quindi, in cui il “mare sanguina spuma bianca”.

Un testo in carne e ossa, vissuto dall’interno, guardando all’esterno, decifrando le strade del mondo con la lente dei segnali stradali.

E ogni occasione si presta e diventa buona. Anche quando il segnale stradale, di fatto, non dica nulla (di essenziale o rilevante) la scrittura si occupa del nulla, con una incredibile dovizia di particolari. Mollica diventa sofista ossimorico e attraverso la metafora del nulla ci indica le linee “guida” (non ho resistito…) per attraversare le vie dei social, tempio del nulla.

Un “manicomio a cielo aperto” in cui temere più gli allucinati che mettono incondizionati like a conversazioni allucinanti che gli insani mattacchioni da tastiera. Un po’ come dicevamo quando temevamo più il Berlusconi in noi, che Berlusconi stesso in sé. 

In questo girovagare per le strade del mondo a guardare i segnali stradali e trarne una legge morale (si, morale addirittura), sono parecchie le considerazioni che Mollica rilascia sulla pagina e fa sedimentare dentro l’anima del lettore, che a tratti si riconosce in questo viandare, e a tratti si irrita, perché non vuole riconoscersi in questo errabondo errare.

Colpisce su di un fianco scoperto la riflessione sulla dimenticanza della morte, sul peso dei fotogrammi e delle fotografie, sul video tremolante e sfocato di un bambino che gioca tra le tombe al cimitero il due di novembre , eccitato a confrontare i nuovi giocattoli recapitati dall’aldilà la notte prima. Un segnale già vissuto, già attraversato. 

Un’autorimessa piena di cose impolverate e arrugginite.

“Fotogrammi di famiglia in gruppo tutti composti; sorridi, soffia, apri gli occhi, spegni le candeline, applauso.

Le fotografie in bianco e nero sono tagliole di carta abrasiva, ti scrostano la pelle all’improvviso come l’intonaco dai muri, colpiscono alle spalle, ti tagliano la gola.”

Come ogni religione che si rispetti, anche questa ha le sue buone pratiche, le sue liturgie, come quella del Rosario delle cose da non dimenticare, prima che siano dimenticate, per contrastare l’Alzheimer della coscienza, malattia neoborghese cui sembriamo destinati tutti.

Nelle vie che circondano luoghi destinati alla cura e al dolore campeggia il segnale che sbarra la cornetta, che vieta l’uso del clacson. Quale insolenza, reagisce il nuovo guru del codice! A nessuno dovrebbe essere consentito di limitare la voce altrui, a nessuno dovrebbe essere consentito di imporre il silenzio al pensiero di ciascuno di noi.

Le interruzioni della viabilità anticipate da un profetico segnale di lavori in corso sono l’occasione per Dionisio Mollica di fermarsi a pensare a quanto siano interminabili e faticose quelle ristrutturazioni dell’anima a cui proviamo a mettere mano in alcuni momenti del nostro percorso. Una eterna Salerno Reggio Calabria che non trova mai il suo assetto definitivo, cui non basterà alcun ponte miracoloso sullo Stretto per dirsi risanata davvero.

Inerpicandosi per stradine di montagna il nostro subisce l’avviso di fare attenzione perché potrebbero distaccarsi dei massi e occupare la carreggiata. La guida pindarica di Mollica sovrappone al distacco dei massi la colpevole distrazione con cui il mondo (non) guarda al lutto delle cose, degli oggetti, degli abiti, dei libri, dei fogli, quando rimangono orfani, abbandonati improvvisamente dal legittimo proprietario che lascia queste strade terrene. Un dolore, una orfananza delle cose, che rimangono lì a sbiadire, senza nessuno più che riconosca il loro odore o il loro rumore. 

Scendendo dalle montagne verso il mare, con inconsapevole profezia, Mollica si dilunga a narrarci della umanità condolente che affolla la spiaggia di PortoPalo, ci racconta di un lido oggi inaspettatamente chiuso. Con lingua e parole che ci riportano al nostro adolescente amore per Gesualdo Bufalino, Dionisio Mollica ricambia in anticipo il premio che avrebbe ricevuto questa estate: il prestigioso Premio Più a Sud di Tunisi, meritato riconoscimento per questa nuova religione bagnata dal mare, scritta sul mare.

“Osservo frastornato gli intrecci ottusi dell’ombrellone di paglia africana e penso che non dovrei trovarmi qui, incolonnato in questo filare d’urne consacrate, in questo scacchiere di postazioni anonime d’unti e oleati; penso, invece, che mi trovo qui, per caso o per cabala o per congiura di affiliati, mi trovo qui, in questo posto dove non mi trovo, in questo girone di sdraiati silenti e contenti.”

Tante altre avventure incontra il nostro autore gironzolando per i pensieri che lo inseguono, riflessioni scatologiche sulla mania dei selfie con sfondo il WC di casa o di qualunque altro luogo; interpretazioni sull’esito dei tunnel che incombono sul nostro cammino; curiose riflessioni sulla natura ottagonale del sentimento più pericoloso del mondo; indagini sulle parole sdrucciolevoli; fascinazione per il vento, alla Chocolate; riflessioni escatologiche sulla presenza o assenza di Dio negli incroci e nelle precedenze; utopici autovelox che rallentino il passaggio della bellezza; confusioni erotiche sul dipanarsi sinuoso di una strada tortuosa; similitudini cinematografiche davanti a un passaggio a livello.

Dionisio Mollica non dimentica però di essere un insegnante, e quel triangolo con i bimbi festosi che vanno verso la scuola e il loro futuro, lo spinge a documentate e approfondite riflessioni sul conosciuto mondo della scuola, sulle riforme che riformano le riforme precedenti, ma non riportano al centro quei bimbi del segnale stradale.

Questa lunga e appassionata riflessione sulla scuola ci offre il destro per una critica all’autore. Una critica piccola, ma perniciosa. Una critica che rischia di svelare un buco in questa religione promessa, un buco elitario e classista che vanifica tutto l’impianto dottrinale.

Perché anche Dionisio Mollica, come tutti gli sceneggiatori di serie tv, gli autori cinematografici e di romanzi sulla scuola, compie lo stesso errore, si macchia della stessa distrazione superba: non trova spazio per un ruolo, una funzione religiosamente cruciale tra le vie della scuola, non elabora un pensiero, un segnale stradale, magari con una borsetta di denaro raffigurata dentro, per il DSGA, eterno dimenticato tra aule e laboratori.

Una dolorosa evidenza a cui porre rimedio in una prossima edizione di questo testo sacro per la circolazione dei pensieri e dei sentimenti.

“Come dicevo, il divieto di transito non mi dice nulla. Però mi incuriosisce lo spazio circolare bianco dentro il cerchio rosso, mi fa venire voglia di un tuffo a precipizio nel bianco senza paracadute, l’impeto di lasciarmi andare nel bianco alieno senza sapere cosa c’è dall’altra parte.

Nel transito del nulla.”

In definitiva, un libro che tenta una ricostruzione semeiotica del mondo da scuola guida, dove la patente diventa la licenza di pensare, di condurre il proprio cervello verso la destinazione attesa, o auspicabile.

Una domanda sorge spontanea allora: Quanti errori si possono commettere in questo esame per la patente di pensare, prima di essere bocciati? Quante volte ci è consentito riprovarci?

E poi verrebbe davvero da chiedere a qualcuno: Ma chi ti ha dato la patente?

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