Ode(òn) a Parigi, ovvero come fare una unica recensione di un film e un disco

Un caro amico mi ha onorato lasciando che potessi postare le mie modeste riflessioni, il personale racconto delle mie emozioni, anche nella sua pagina che si occupa di cinema, musica, teatro, insomma tutto quanto fa spettacolo. E poiché siamo entrambi giovani da parecchio tempo come poteva chiamare una pagina che si occupa di tutto quanto fa spettacolo?

Non mentite per nascondervi l’età, state tutti sentendo le note saltellanti del piano di Keith Emerson che suona Honky Tonky Train Blues sul retro di un cassone scoperto di un camion. Non poteva che chiamarla Odeòn, come il fortunatissimo programma di Brando Giordani su Rai Due.

Proprio così come l’ho scritto, con l’accento sulla seconda “o”, dal sapore vagamente retrò. Come mio papà chiamava il cinema che in via Savoia fu presto sostituito da una banca d’interesse nazionale.

Odeòn, quindi. Strizzando l’occhio a una certa Parigi, a quella Parigi, a cui l’ing. Gustave Eiffel, per l’Esposizione Universale del 1889, regalò l’iconica torre di acciaio omonima.

A Parigi, quindi, la città dell’esposizione, che è anche la città del cinema, dei fratelli Lumiere, la città dell’amore, la città della libertà, la città dell’arte, la città della musica, della musica jazz in particolare.

L’esposizione universale del 1889 fu un momento di svolta epocale, cento anni dopo la Rivoluzione, e la torre Eiffel ne è la traccia indelebile rimasta a simboleggiare la nuova Parigi che entrava di li a poco in un nuovo secolo, il XX.

A Parigi avvengono spesso cose che realizzano svolte epocali, anche se sul momento non ne abbiamo consapevolezza. Solo dopo tempo, anche anni, ci rendiamo conto che in quei giorni, in quelle notti, hanno trovato radice certi rami e certe foglie che oggi ammiriamo.

Come primo post su questa pagina, artistica, curiosa e intrigante, lasciatemi raccontare di un incontro epocale tra cinema e musica, una pietra miliare di tante correnti culturali e artistiche, i cui protagonisti forse non si accorsero nemmeno di cosa stavano facendo.

Voglio raccontarvi di un film davvero molto bello. Intrigante ed appassionante. Una perla in bianco e nero. Una pietra miliare, appunto, del cinema europeo. Una traccia indelebile della Parigi del XX secolo.

Il film ha quasi settant’anni, è uscito nelle sale nel 1958, nel gennaio 1958.

È un’opera prima. Il giovanissimo regista che lo firma è un ventiquattrenne francese “squeto”.

Attratto dai noir americani, dal cinema del maestro Hitchcock, vuole provare ad aggiungere spessore europeo, cultura francese, modo di vivere parigino a quella scuola di cinema.

Parte da un libro, un piccolo romanzo omonimo del film di cui parliamo.

Vi costruisce intorno una sceneggiatura che mescola tutti gli elementi del cinema di Hitchcock e vi aggiunge una torbida, tipica storia d’amore parigina.

Come attrice protagonista (che nel libro compare davvero solo marginalmente) sceglie un’attrice francese, ancora non trentenne, che già ha lasciato il segno sugli schermi francesi, ma che ancora non è diventata iconica. Anzi sarà proprio questo film a renderla iconica di un certo tipo di cinema.

Questo film crea il mito di questa attrice, che da allora fino ai suoi novant’anni resterà un mito. Una donna libera per antonomasia, come si è sempre definita. Coraggiosa, che ha ingaggiato tante battaglie per i diritti civili, per i diritti delle donne, pur rifiutando l’etichetta di femminista (diceva: amo gli uomini e gli uomini amano me, non mi servono ismi).

La sceneggiatura, la fotografia di questo film, la Parigi, gli Champs Elysees che ospitano le scene più importanti e più memorabili, aprono la strada a tutto il cinema esistenzialista che seguirà. Godard, Truffaut, la nouvelle vague, sono diretti eredi di questo regista e di questo film (e spesso reclutano la stessa iconica protagonista).

La colonna sonora di questo film è entrata nella storia della musica per tantissimi motivi. Proviamo a raccontarla.

A dicembre del 1957 il film è pronto. Il regista però non è ancora soddisfatto della musica. La produzione insiste per chiudere ed andare in sala. È il suo primo film, è troppo giovane, non ha la forza di opporsi, deve cedere. Lunedì 9 dicembre si consegna il film e basta.

Il 2 dicembre è lunedì, a Parigi piove, come fa spesso sugli impermeabili. Il giovane regista si rifugia con l’attrice in un club per sentire un po’ di musica. Il giovane, oltre al cinema americano, ama la musica americana, ama il jazz.

In quel club suona un musicista di colore, uno dei jazzisti americani che lui ha molto amato, protagonista di alcune tra le rivoluzioni musicali del genere, la nascita del Be Bop, l’elaborazione del Cool jazz, è un trombettista.

Suona in quel modo tutto suo che lo renderà riconoscibile per sempre. Suona la cornetta (guai a chiamarla tromba in sua presenza è capace di rompertela in testa) con la sordina molto vicina, quasi schiacciata sul microfono.

Dal canto suo il genio musicale, poco più che trentenne, è a Parigi in fuga, quasi in incognito.

Ha rotto con la Prestige Records, la casa discografica dei suoi più importanti successi. Ha definitivamente rotto il suo matrimonio con Irene. Dopo varie vicissitudini anche familiari è riuscito a disintossicarsi dall’eroina che ha ucciso tanti suoi compagni, a partire da Bird, il padre di tutti, a cui è dedicato il locale sulla 57^ di Manhattan, celebrato anche dall’omonimo brano di Wayne Shorter, Birdland.

Il suo gruppo più famoso della Prestige è funestato dall’eroina, il sax è vittima, gira troppa eroina, il nostro ha paura di ricaderci.

E poi si è stancato di suonare quello che gli altri si aspettano da lui. Il jazz blues tonale che lui stesso ha contribuito a far diventare il jazz per antonomasia ricercato ed amato in tutto il mondo.

A Parigi ha ritrovato il suo grande amore Juliette Greco, la musa di Saint Germain de Pres, degli esistenzialisti parigini. L’unica che poteva aggiungere voce alla sua musica.

Il giovane regista decide di osare l’inosabile. Avvicina lo scontroso jazzista americano. Gli parla del suo film, della musica che non trova, che gli serve. Il trombettista lo ascolta, ma guarda quella bionda che trasuda disperazione da ogni cenno di sguardo. Si incuriosisce non sappiamo di cosa prima, se del film o della ragazza.

Nessuno aveva mai usato prima il jazz per accompagnare un film. La casa di produzione gli dice che è una follia, non è disposta ad uscire un soldo per questa ennesima stranezza.

A spese sue il giovane e testardo regista affitta una sala di registrazione, si può permettere solo una notte, dalle 23:00 del 3 dicembre alle 5:00 del 4 dicembre 1957.

Il jazzista si presenta con un amico che lo accompagna in questa fuga francese, il batterista Kenny Clarke, insieme scelgono tre avventizi musicisti francesi a disposizione dello studio.

Senza nessuna idea di base, senza nessun modello, senza nessuna linea guida, il regista proietta le immagini delle scene che vuole musicare, il jazzista le guarda una prima volta. Poi gli chiede di rimandarle.

Sotto la sua guida ferma e decisa i cinque musicisti improvvisano dal vivo mentre le immagini scorrono. La tromba scava nelle scene, nelle espressioni dei personaggi, soprattutto della straordinaria attrice che occupa la maggior parte delle scene.

La tromba sottolinea il tormento della donna, risoluta e bellissima, e con la lama sottile della sordina disegna i contorni di un amore romantico e spietato.

Indimenticabili le scene di lei sugli Champs Elysees in cerca del suo amante.

Il risultato è talmente strepitoso che la casa di produzione accetta e ricompensa molto profumatamente il musicista. Le incisioni vengono custodite tra le Jazz Tracks da collezionisti.

C’è bisogno che vi dica che tra il musicista e l’attrice scoppiò un vero e proprio amour fou che fece scalpore tra America ed Europa.

L’attrice novantenne ancora una volta interrogata su questo amore dichiarò: “non c’è bisogno di andare a letto con un uomo per amarlo”.

La musica del film è una rivoluzione musicale per il jazz. Inseguendo quelle scene sullo schermo, il jazzista si libera della sua stessa eredità e inventa la musica modale, il jazz modale, che nel 1959 diverrà consacrato nell’album più bello e più famoso del suo repertorio, Kind of blue.

Il regista è Louis Malle

L’attrice è Jeanne Moreau

Il jazzista è Miles Davis

Il film è Ascensore per il patibolo.

Ecco perché qualcuno che ama la musica, il cinema e tutto quanto fa spettacolo poi chiama la sua pagina Odeòn, con una eco di Parigi, di quella Parigi dove tutto può accadere e accade.

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