Sciascia Alien – Il più siciliano di tutti, ma il più diverso da tutti gli altri siciliani

Ragazzino fui felice. Nipote unico e preferito di edicolante, mi farcivo di giornaletti, fumetti e pubblicazioni varie. 

Un giorno questo idillio fu violato dalla voce tonitruante di mio zio con l’intento (lodevole e di cui sono ovviamente grato) di spronarmi a crescere e non perdere “a capa appress e giurnalett” e passare alla lettura dei veri libri.

Mio papà aveva una già nutrita libreria a cui guardavo con curiosità insufficiente. Vi avevo scoperto il Teatro di Martoglio e le poesie “lurde” di Micio Tempio. Guardando con spirito reo a questa libreria, per sfogare il rossore creato dall’imbarazzo misto a rabbia, seguito allo “sprone”, fui attratto dalle copertine rosse delle pubblicazioni Einaudi (senza le sovraccoperte) di alcuni libretti sottili: Il giorno della Civetta (il film con Zecchinetta che avevo visto in televisione), Todo Modo, Il Contesto, Gli zii di Sicilia, Il Consiglio di Egitto, A ciascuno il suo. Erano tutti dello stesso autore dal cognome curioso, musicale con due suoni ripetuti: Sciascia, Leonardo Sciascia. Cominciai la lettura del Giorno della Civetta.

Fu amore a prima vista. Quella prosa asciutta, lineare, logica, stringente, che non lasciava spazi a dubbi a smancerie a frivolezze, mi teneva serrato alla pagina.

I fatti delle vicende si snodavano essenziali. Ogni parola stava nella frase come se quando il Creatore l’aveva inventata, l’avesse pensata proprio per quella frase. Ed in quella frase una parola in più o in meno l’avrebbe fatta esplodere o decadere. Quel capitano Bellodi, che poi avrei imparato ad identificare in un giovane Carlo Alberto Dalla Chiesa, che aveva la faccia di Franco Nero, divenne il mio eroe, una guida, e imparai definitivamente da che parte sarei stato sempre.

Li lessi tutti.

Quel modo di scrivere racchiudeva un modo di pensare connaturato. Senza sapere che si chiamasse così ho scoperto e imparato cosa fosse l’Illuminismo. Il Trionfo della Ragione.

Di quelle prime letture sciasciane, oltre al notissimo Giorno della Civetta, rimasi particolarmente colpito dalla figura del professor Laurana di A ciascuno il suo. Unicuique Sum. Quel latino riflesso nel retro della lettera anonima mi sembrava la rappresentazione lucidissima della grande ed ampia cultura, classica e moderna, dell’autore. Dote necessaria per poter scrivere così brevemente e così efficacemente. Il professor Laurana era il più colto e al tempo stesso il meno coltivato, dei personaggi della vicenda del finto incidente di caccia dell’ing. Roscio. La sua ampia cultura gli consentiva di decifrare agevolmente causali e snodi nascosti, ma la sua scarsa esperienza (soprattutto nelle cose d’amore) lo tradiva e lo faceva cascare nelle trappole più insidiose. Intelligente, ma ingenuo, colto, ma ingenuo, appassionato, ma ingenuo. Di fatto un cretino, come lo definiscono cinicamente e sguaiatamente, i soci del Circolo del paese, dopo la sua scomparsa.

Come non identificarsi in quegli impacci dell’agire, e in quei guizzi del pensare, per un ragazzino che stava imparando a sognare sui libri? Come non sentirsi Gian Maria Volontè e non subire il fascino erotico delle gramaglie di Irene Papas nel film che ne fu tratto?

Se Mastroianni fu l’alter ego di Fellini in moltissime pellicole dei nostri sogni più amati, Gian Maria Volontè fu l’impersonificazione cinematografica dell’intelligenza lucida, civile, appassionata di Leonardo Sciascia. Tantissimi film ce lo ricordano e lo raccontano ai nostri figli che non hanno conosciuto la potenza di quella intelligenza.

L’immagine di Sciascia intervistata, televisiva, era caratterizzata da quella vocina fessa, quel sorriso sornione, quell’eloquio fine, sempre munito di sigaretta alla mano o al labbro, quella sorprendente arguzia mediterranea, araba, che nella memoria mi si  sovrappone al modo di parlare, alla stessa lucidità, alla stessa logica stringente di Giovanni Falcone in televisione. 

Volontè, Sciascia, Falcone, Uno sfolgorante tripudio di passione civile ed intelligenza.

Indimenticabile l’Aldo Moro, raccontato da Sciascia in Todo Modo, e portato sugli schermi da Gian Maria Volontè, con la guida di Elio Petri. Una pagina di storia italiana. 

Di Moro, poi Sciascia si occuperà ancora. Pur lontano, pur estraneo alle vicende politichesi dell’Italia delle BR (l’oltraggio della dichiarazione di alterità: “Nè con lo Stato, né con le BR” non gli fu perdonato facilmente) Sciascia studiando il corpus delle lettere dalla prigionia dello statista dc, ne ricostruirà un’analisi attenta, intelligente, lucida che anticiperà anche alcune risultanze della magistratura. L’Affaire Moro.

Un’altra fortuna di cui ho goduto nell’età felice era quella del teatro. Andavamo, quando possibile, a tutti gli spettacoli. Il Teatro Stabile di Catania con Turi Ferro, Tuccio Musumeci e Pippo Pattavina era la mia compagnia preferita (mi aveva spinto a leggere i copioni del teatro di Martoglio come dicevo). Uno di quegli anni la compagnia portò in una irresistibile riduzione Il Consiglio di Egitto. Le mistificazioni, le fake, ante litteram, saltarono dalle pagine amate alle tavole del palcoscenico e si arricchirono della comicità e della teatralità di quei grandi artisti.

Che viaggio fu, poi, quello fatto accanto a Candido, letto sinotticamente a quello volteriano. 
Se oggi un caro amico ama interrompermi durante le mie lunghe ed articolate dissertazioni con la tranciante definizione: “E’ che tu sei uno degli ultimi illuministi!” – lo devo certamente a questo viaggio compiuto in giovinezza con Sciascia.

La mafia certo. Anche la mafia fu lezione appresa su quelle pagine. Nelle pagine di Sciascia appresi il modo di decrittare parole, gesti e comportamenti, per riconoscere la mafia. Quella mafia, di quel tempo. Quella successiva, quella evoluta degli anni novanta, Sciascia non la vide né la previde. Per leggere quella mi servirono altri manuali, altri vocabolari, altre lenti.

L’antimafia certo. L’intellettuale severo, rigoroso, univoco, senza dubbi e tentennamenti che aveva gelidamente osato distanziarsi dallo Stato e dalle BR, non poteva assistere senza reagire alla cristallizzazione dell’antimafia, in una patente di appartenenza, in una garanzia di essere sempre dalla parte della giustizia, aprioristicamente, senza vivisezionare argomenti, fatti, persone e situazioni, come il suo intelletto gli imponeva.
Il suo intervento sul Corriere contro i professionisti dell’antimafia fu irrinunciabile per la sua sete di razionalità. La macchina mediatica lo usò e lo contrappose a Borsellino, ma non era Borsellino il suo vero bersaglio. Erano tutti quei circoli, quegli uomini e quelle strutture che avevano trovato un nuovo petrolio nella lotta alla mafia. In quel gennaio di 34 anni fa ci apparve scandaloso, ma gli anni seguenti, le inchieste, le giravolte, le rivelazioni successive ci mostrarono quanto lungo avesse visto.

Un altro grande siciliano a cui ho dedicato appassionata attenzione fu Giuseppe Fava, che di quella stessa mafia narrava e ne fu ucciso (pochi giorni fa, il 5 ne ricorreva l’anniversario della barbara uccisione). La sua ultima avventura editoriale fu un mensile che alimentò la mia passione civile degli ultimi anni del liceo: I Siciliani. I primi 12 numeri con Giuseppe Fava direttore, e gli altri solo con Giuseppe Fava, Fondatore. Nel numero di maggio 1983, il n. 5, era contenuta una illuminante analisi dello scrittore Sciascia, definito Alien, condotta dallo stesso Fava. Le mie due passioni si incontravano.

Giuseppe Fava in dieci punti ci spiegava come e perché Sciascia fosse Alien. Ce ne descriveva caratteristiche peculiari e lo confrontava con altri scrittori ed intellettuali.

Fava, passionale, sensuale, ispiratore ed ispirato dalle masse, romantico più che illuminista, carne e sangue prima che intelletto, è l’uomo giusto per farci percepire con chiara nettezza la crudeltà della ragione, la straordinaria forza mentale, l’infallibile rigore logico, l’ineffabile determinismo dell’illuminista Sciascia.

“Sciascia non ammette mai di avere torto. E al servizio di questo principio inalterabile pone la sua geniale matematica intellettuale. per questo, non fosse stato il più implacabile nemico della mafia, sarebbe stato forse la più perfetta mente mafiosa del secolo.”

Fava conclude infine la sua analisi inventandosi una sua discutibile graduatoria degli scrittori italiani viventi, dove in vetta a 100 punti pone Sciascia:

“Infine a quota cento, unico, lontano da tutti gli altri, perché il più geniale, il più riverito, il più venduto, solitario e irraggiungibile, con quell’enigmatico sorriso da Giocondo, forse mistificatore, forse profeta, Leonardo Sciascia, il quale da solo rappresenta in Europa la letteratura siciliana e italiana nella narrativa, nella saggistica, nella filosofia della letteratura. Forse il più siciliano di tutti i grandi narratori di tutti i tempi, e tuttavia diverso da qualsiasi altro siciliano. ALIEN!

Sciascia usò la sua intelligenza critica e attenta anche per fare da soffio vitale all’avventura editoriale di Elvira Sellerio, a cui oggi, che Sciascia e la stessa Elvira non ci sono più, non sapremmo più rinunciare.

Le sue esortazioni e il suo sostegno hanno convinto il professor Gesualdo Bufalino a rompere gli indugi e superare le barriere della scrittura intima, se pur tardivamente. Nel nome stesso di questo blog porto le stigmate dell’incontro con Bufalino. Quella risata, con Consolo distratto ma presente sullo sfondo, rappresenta una idea imperitura di cosa è stata, cosa è, cosa può essere questa nostra amata Sicilia.

Oltre ai romanzi, saccheggiati da cinema e teatro fino all’ultimo Una Storia Semplice, sempre con Gian Maria Volontè, Sciascia ci lasciò una vasta produzione di saggi, articoli e prese di posizione (nonché di lavori ed iniziative parlamentari durante l’esperienza politica, non certo a caso, nelle fila del Partito Radicale di Marco Pannella). La corda pazza, Cruciverba, La palma va a nord, La Sicilia come metafora, Il Caso Majorana, per citare i primi che mi sovvengono. In questa sterminata produzione saggistica Sciascia trova il modo di spiegarci Pirandello, Brancati, Manzoni (quello della Colonna Infame, soprattutto), Stendhal, Majorana, sempre con uno sguardo dritto, che illumina al centro e definisce netti i bordi delle figure.

Chiaroscuri altamente contrastati come certe foto di Giuseppe Leone, da lui molto amate. In ognuna delle sue analisi in fondo però Sciascia si cimenta nell’immane compito di spiegarci la Sicilia ed i siciliani, e, attraverso di questi, gli uomini di quel tempo che gli è stato dato di vivere. Uno scienziato degli uomini. Un osservatore in vitro degli uomini, acuto, anche se lontano e periferico. Clinico, come quei medici che non avevano bisogno di RMN, TAC, RX, Ecografie, ma con la sapienza e l’esperienza delle loro mani, clinicamente, sapevano individuare malanni e dolori.

E così anche questo piccolo blog osa tributare un omaggio al Maestro di Regalpetra nel centenario della sua nascita.

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3 pensieri su “Sciascia Alien – Il più siciliano di tutti, ma il più diverso da tutti gli altri siciliani

  1. Un mese dopo l’assassinio di Falcone, e 23 giorni prima del proprio assassinio, Borsellino dichiarava: “Giovanni ha cominciato a morire tanto tempo fa. Questo paese, questo Stato, la magistratura che forse ha più colpe di ogni altro, cominciarono a farlo morire nel gennaio 1988, quando gli fu negata la guida dell’Ufficio Istruzione di Palermo. Anzi, forse cominciò a morire l’anno prima: quando Sciascia sul “Corriere” bollò me e l’amico Leoluca Orlando come professionisti dell’antimafia” (Palermo, 26 giugno 1992).

    Riconoscere gli errori dei grandi, li rende più umani e non ne sminuisce il valore.

    1. Fu certamente un errore. Analizzando le motivazioni del provvedimento del CSM che favoriva Borsellino, Sciascia intuiva che poteva realizzarsi una matrice di discriminazioni soggettive, che avrebbero condotto ad ingiustizie. E ciò oltre ogni intenzione del giudice Borsellino, e oltre ogni considerazione “speciale” che la situazione analizzata richiedeva. Fu errato offrire al circo mediatico l’opportunità di leggere quell’intervento mirato. Fu errato non chiarire subito che il timore suo riguardava altre situazioni potenziali (che poi si sono verificate comunque).
      Ma come aveva analizzato Fava (ed io riporto testualmente) ben prima della polemica di cui stiamo parlando, “Sciascia non ammette mai di avere torto.”.
      Con Borsellino giunsero ad una ricomposizione, che non fu completa, visto che Sciascia non ammise mai il torto, e che Borsellino mantenne rancore tanto da rilasciare la dichiarazione da lei citata.
      Concordo, quindi, su tutta la linea del suo commento, compresa la inalterata grandezza al di là degli errori oggettivi. Concordavo anche prima, forse non lo avevo esplicitato abbastanza. La ringrazio di avermi offerto l’opportunità di precisarlo.
      Grazie per aver onorato il mio blog e di aver interagito con il mio scritto.

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